Cultura e Spettacoli

Pane e quotidiano con Giorgio Caproni (III Parte)

Pochi grammi di poesia al giorno  per stare a contatto con l’universo poetico che vibra intorno a noi.

Terminate le scuole medie, Caproni s’iscrive all’Istituto musicale intitolato a G. Verdi, dove studia violino. A diciotto anni abbandona lo studio del violino e s’iscrive al Magistero di Torino, ma presto interrompe gli studi. Inizia in quegli anni a scrivere i primi versi poetici. Mai soddisfatto dei risultati, strappa tutto e getta via le velleità poetiche. E’ quello il periodo degli incontri con i nuovi poeti dell’epoca, da Montale a Ungaretti a Sbarbaro. Rimane folgorato da “Ossi di seppia“, di Montale. Nel 1931 decide di inviare alcuni suoi componimenti poetici alla rivista genovese “Circolo”, ma vengono rifiutati. Due anni dopo pubblica le sue prime poesie, ‘Vespro’ e ‘Prima luce’, su due riviste letterarie e, a Sanremo, dove si trova per il servizio militare, coltiva alcune amicizie letterarie come Giorgio Bassani. Comincia a collaborare con riviste e quotidiani pubblicando recensioni e critiche letterarie.Nel 1935 Caproni inizia la carriera d’insegnante di scuola elementare, prima a Rovegno poi ad Arenzano. Nel 1936 muore la fidanzata Olga Franzoni, e, tanto è il dolore, da impregnarne la raccolta ‘Come un’allegoria’. Nel 1938 sposa Lina Rettagliata, che definì la sua “nuova speranza” e, sempre in quell’anno si trasferisce a Roma restandovi per quattro mesi. L’anno seguente è richiamato alle armi e nel maggio del 1939 nasce la sua primogenita, Silvana. Allo scoppio della guerra è prima inviato sul fronte delle Alpi Marittime poi in Veneto. Il 1943 dà alle stampe ‘Cronistoria’, per Vallecchi, di Firenze (all’epoca uno degli editore fra i più noti). È tra le file partigiane in Val Trebbia, per oltre un anno e mezzo, fino all’aprile del 1945.

Io come sono solo sulla terra
coi miei errori, i miei figli, l’infinito
caos dei nomi ormai vacui e la guerra
penetrata nell’ossa!… Tu che hai udito
un tempo il mio tranquillo passo nella
sera dagli Archi a Livorno, a che invito
cedi – perché tu o padre mio la terra
abbandoni appoggiando allo sfinito
mio cuore l’occhio bianco?… Ah padre, padre
quale sabbia coperse quelle strade
in cui insieme fidammo! Ove la mano
tua s’allentò, per l’eterno ora cade
come un sasso tuo figlio – ora è un umano
piombo che il petto non sostiene più.

Da ‘Tutte le poesie’

 

 

Rubrica a cura di Maria Pia Latorre ed Ezia Di Monte

 


Pubblicato il 26 Gennaio 2023

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