Pane e quotidiano con Pierluigi Cappello (II parte)
Pochi grammi di poesia al giorno per stare a contatto con l’universo poetico che vibra intorno a noi.
Nel 1976, quando Pierluigi ha solo nove anni, sulla famiglia Cappello si abbatte il tragico terremoto del Friuli, a cui seguirà una vita precaria nei prefabbricati.A 16 anni un gravissimo incidente in moto costringerà il giovane a vivere su una sedia a rotelle per il resto dei suoi giorni. Per lui, promessa dell’atletica leggera, quelle ruote diventarono le sue gambe. “Non ci siamo sposati, io e il mio dolore siamo una coppia di fatto” diceva, sorridendo “Ma sarei diventato poeta lo stesso, anzi di più, anche meglio”. Sosteneva che il poeta è un vasaio, l’ultimo artigiano rimasto. Riempiva di pensieri e spunti le sue agendine nere, i post-it che incollava dappertutto, e non aveva fretta. Cesellò appena trenta poesie negli ultimi sei anni strappati a una grande sofferenza fisica, dopo che la legge Bacchelli era finalmente riuscita a levarlo dalla baracca del terremoto a Tricesimo (Udine), un prefabbricato donato dall’Austria al Friuli dopo l’ecatombe del 1976.
Poesia scritta con la matita
Sono devoto all’anima di grafite della matita:
un solo colpo di gomma e il segno lasciato sparisce,
sentieri imboccati con leggerezza
si riconducono alla docilità della via maestra
i crolli vengono evitati con un’alzata di spalle,
l’imprevisto è un vecchio con il pugnale spuntato.
L’anima di grafite non conosce soste, esitazioni:
nel suo stesso procedere in avanti
ci chiama alla possibilità del ritorno,
nel suo segno scuro riposa la dolcezza del bianco
e Angelina torna a sorridere
tenendo per mano un bambino
abbagliato dal sole
(da ‘Azzurro elementare’, Poesie 1992-2010)
Rubrica a cura di Maria Pia Latorre ed Ezia Di Monte
Pubblicato il 5 Ottobre 2022