Pane e quotidiano con Vittorio Sereni (III parte)
Pochi grammi di poesia al giorno per stare a contatto con l’universo poetico che vibra intorno a noi
Negli anni 1937-39 Vittorio Sereni insegna come supplente in varie scuole milanesi, è assistente volontario di Banfi presso la cattedra di estetica e, dal marzo del 1938, redattore letterario di Vita giovanile (poi Corrente di Vita giovanile), periodico fondato da Ernesto Treccani. Nel marzo del 1940 comincia a insegnare all’istituto magistrale di Modena, sede della cattedra di latino e storia vinta nel concorso dell’anno precedente. La posizione di insegnante di ruolo gli consente, dopo essere stato richiamato alle armi ed essere stato destinato al fronte francese, di essere posto in congedo illimitato e tornare a insegnare. Il 20 febbraio 1941 esce, per le edizioni milanesi di Corrente, il suo primo libro di poesie, Frontiera. Durante le vacanze estive del 1941, passate a Felino (Parma), paese di origine della moglie, vede con amichevole assiduità Attilio Bertolucci, che abita nella vicina Baccanelli. In ottobre viene richiamato alle armi. Dopo lo sbarco degli Alleati, nel luglio del 1943 viene fatto prigioniero con il suo reparto a Paceco (Trapani) e poi trasferito, in agosto, in Africa. Può rientrare in Italia solo nel luglio 1945, dopo due anni trascorsi in vari campi di prigionia dell’Algeria e del Marocco francese, durante i quali è costretto a una forzata estraneità alla Resistenza italiana ed europea. L’amarezza conseguente traspare dalla sua raccolta poetica, Diario d’Algeria (Firenze 1947). Dopo la guerra si stabilìsce a Milano, dove riprende l’insegnamento liceale. Conosce e frequenta nuovi amici tra cui Umberto Saba, Sergio Solmi, Nelo Risi, Giuseppe Ungaretti.Le ristrettezze economiche incrementano la sua attività di traduttore, poi proseguita negli anni e la collaborazione a giornali e riviste.
Saba
Berretto pipa bastone, gli spenti
oggetti d’un ricordo.
Ma io li vidi animati indosso a uno
ramingo in un’Italia di macerie e di polvere.
Sempre di sé parlava ma come lui nessuno
ho conosciuto che di sé parlando
e ad altri vita chiedendo nel parlare
altrettanta e tanta più ne desse
a chi stava ad ascoltarlo.
E un giorno, un giorno o due dopo il 18 aprile,
lo vidi errare da una piazza all’altra
dall’uno all’altro caffè di Milano
inseguito dalla radio.
«Porca – vociferando – porca.» Lo guardava
stupefatta la gente.
Lo diceva all’Italia. Di schianto, come a una donna
che ignara o no a morte ci ha ferito.
da Gli strumenti umani, Einaudi 1965
Rubrica a cura di Maria Pia Latorre ed Ezia Di Monte
Pubblicato il 12 Ottobre 2023