Pane e quotidiano ‘La fascìdde’ di Francesco Saverio Abbrescia
Pochi grammi di poesia al giorno per stare a contatto con l’universo poetico che vibra intorno a noi.
E ogni sabato ‘la fascìdde’ ovvero una scintilla di poesia dialettale.Francesco Saverio Abbrescia nacque a Bari il 12 luglio 1813 e vi morì il 9 novembre 1852.Studiò presso il regio liceo delle Puglie e poi nel seminario arcivescovile di Bari. All’età di 30 anni divenne canonico della basilica di San Nicola e a 32 fu chiamato a insegnare lettere nel liceo del quale era stato allievo.Godette la stima dei personaggi più in vista dell’epocaGiordano Bianchi Dottula, tra i quali ed Angelo Mai, e fu socio dell’Accademia Pontaniana, dell’Accademia romana di religione cattolica, dell’Accademia dell’Arcadia e della Società economica della provincia di Bari.Fu cultore del dialetto barese, nel quale si esercitò con versi di carattere sacro e profano, senza però trascurare la poesia in lingua. Parecchie anche le sue opere di carattere sacro, per lo più dedicate a san Nicola.Nel corso del 1848 scrisse tre composizioni dialettali di carattere politico, inneggianti alla Costituzione concessa in quell’anno da re Ferdinando II di Borbone. Per tali suoi sentimenti apertamente liberali, quando il sovrano tradì la Costituzione, Abbrescia fu accusato di avere celebrato in San Nicola una messa per ricordare, il 10 febbraio 1849, l’anniversario della concessione. Per questo motivo il 19 maggio 1851 ebbe inizio un processo a suo carico, ma l’indulto del successivo 3 luglio estinse l’azione penale. Nonostante ciò rimase segnalato come “liberale pericoloso”.Si spense a Bari all’età di appena 39 anni, ammalato nel corpo e prostrato nello spirito per le traversie subite.
La pausì
Pe la fèste de la menùte de Sanda Necòle da Mìre a VVare
(Per la festa di venuta di San Nicola da Myra a Bari)
Vìine vìine, Tatà bbuène,
Vìine, Amìche de Gesù:
Vìin’a ddà la palandène
A l’amàte fìgghie tù.
Benedìsce cìil’e mmare,
La cambàgne e la cetà:
A le mìsere marnàre
Uèlde n’ècchie de piatà!
Mendaggnòle, allegramènde
Mèh! candàm’a l’armenì:
Vìine, Stèdd’a l’oriènde,
Com’u Sol’a menzadì.
E chembòrme iìnd’o paìse
T’acchegghìime m-mènz’a nnù,
Tu ngi-accuègghie m-baravìse
Sott’o sande mande tù.
La poesia
Vieni vieni padre buono
Vieni amico di Gesù:
Vieni a dare felicità
Agli amati figli tuoi.
Benedici cielo e mare,
La campagna e la città:
Ai miseri marinai
Volgi sguardi di pietà!
Montagnole, allegramente
Su cantiamo in armonia
Vieni Stella dell’oriente
Splendi come il sole a mezzogiorno.
E conforme nel paese
Ti accogliamo in mezzo a noi,
Tu ci accogli in paradiso
Sotto il Tuo santo manto.
Rubrica a cura di Maria Pia Latorre ed Ezia Di Monte, consulenza Felice Giovine
Pubblicato il 12 Novembre 2022