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Per le prossime regionali verso la riconferma dei 50 seggi alla Puglia

Dopo la vicenda di Delli Noci, nel centrosinistra Decaro verosimilmente alla ricerca di alibi per sfilarsi dalla corsa a governatore

La commissione “Affari costituzionali” del Senato, riunita in sede redigente, ha approvato in via definitiva il disegno di legge che consentirà alla Puglia di non tagliare 10 seggi nella prossima tornata elettorale regionale. Infatti, ieri il ddl n.1452, proposto dal senatore pugliese Dario Damiani di Forza Italia, è stato approvato a maggioranza con l’astensione delle opposizioni (una prassi istituzionale). Ora, pertanto, l’ultimo step affinché la proposta di legge in questione possa diventare legge dello Stato sarà il doppio passaggio in entrambi i rami del Parlamento. Un passaggio che dovrebbe essere agile e snello in virtù del lavoro fatto in sede redigente. Il primo nell’Aula di Palazzo Madama potrebbe essere previsto al massimo entro la prossima settimana, ma i capigruppo nella riunione che definisce l’ordine del giorno della seduta potrebbero decidere anche di anticipare, al fine di far giungere il ddl all’esame dell’Aula di Montecitorio con tempi ancora più rapidi. Detto provvedimento – come è noto – introduce una tolleranza del 5% alla soglia di abitanti sotto la quale, si deve adeguare il numero di consiglieri regionali. Senza questo intervento legislativo la Puglia, a causa del decremento della popolazione sotto i 4 milioni di abitanti, dovrebbe portare dagli attuali 50 seggi a 40 il plenum  della propria Assemblea regionale. E mentre per il Consiglio regionale pugliese ci si avvia verso una quasi certa conferma della composizione a 50 seggi (oltre a quello del Capo dell’esecutivo), la finora mancata modifica alla cosiddetta norma “anti-sindaci”, che avrebbe consentito l’abbassamento del termine, per le dimissioni dalla carica da 180 a 45 giorni, ai Primi cittadini che volessero candidarsi alle prossime regionali pugliesi, potrebbe costituire un alibi di Antonio Decaro a non candidarsi per eventualmente succedere a Michele Emiliano alla guida della Regione. Infatti, l’ex Primo cittadino barese, ora europarlamentare dem, pare non gradire la norma che costringe i Primi cittadini pugliesi, che vogliono candidarsi alla Regione, a dimettersi con almeno sei mesi d’anticipi rispetto alla data di scadenza naturale della legislatura. Una novità, questa, che – come si ricorderà – è stata introdotta nella legge elettorale regionale lo scorso novembre su proposta del consigliere di centrodestra Antonio Scalera (eletto nel 2020 nella civica “La Puglia domani”), ma approvata a voto segreto con l’apporto di una larga fetta di consiglieri della maggioranza. Detta norma – come è noto – è stata poi impugnata dal governo Meloni per sospetta incostituzionalità e sarà all’esame della Corte costituzionale nella seduta del 9 luglio prossimo, quando si conoscerà anche l’esito dell’eccezione sollevata dal ministro degli Interni. Nel frattempo alla Regione Puglia sono ancora in corso vari tentativi, soprattutto da parte del centrosinistra, per abbassare i giorni per le dimissioni dei sindaci che si candiderebbero alla Regione almeno a 30 prima della data di presentazione delle liste. Infatti, in caso di bocciatura della norma dei 180 giorni prima della scadenza da parte della Consulta si tornerebbe alla situazione precedente che, in base ad una norma del 1980, per i sindaci che si candidano alla Regione Puglia prevede le dimissioni dalla carica almeno in concomitanza all’accettazione della candidatura e, quindi, all’atto di presentazione delle liste che, come è noto, avviene un mese prima del voto. Secondo qualche addetto ai lavori, la possibilità che la Consunta possa dichiarare incostituzionale, quindi illegittimo, il termine di 180 giorni è alquanto incerta. Infatti, – ha rilevato lo stesso – per i Primi cittadini dei Comuni con popolazione superiore a 20mila abitanti esiste già dal 1957 una norma analoga, che prevede le dimissioni dalla carica almeno sei mesi prima della scadenza naturale della legislatura, nel caso in cui voglio candidarsi al Parlamento, oppure all’atto dell’accettazione della candidatura nel solo caso di scioglimento anticipato del parlamento e, quindi, di elezioni anticipate. Pertanto, alla luce di ciò, appare improbabile che la Consulta possa ritenere illegittima una norma elettorale regionale che invece a livello nazionale non è stata mai ritenuta incostituzionale, perché evidentemente a tutela della “par condicio” dei candidati. Una “par condicio” che per i sindaci, oggi ancor più di allora, sarebbe clamorosamente violata in considerazione degli enormi poteri di gestione riconosciuti ai Primi cittadini eletti direttamente e non più, come in precedenza, dal Consiglio comunale. L’ex sindaco di Bari, quindi, potrebbe prendere a pretesto anche un’eventuale non decadenza della norma anti-sindaci, per sfilarsi dalla corsa a governatore. Infatti, da qualche settimana Decaro ha cominciato a porre condizioni per la sua discesa in capo (vedi non candidatura di Emiliano e Nichi Vendola a consiglieri e richiesta di congelamento delle nomine ai vertici delle Asl) che sembrano quasi sollevate apposta per allontanare la sua candidatura al vertice della Regione. Un cambio di rotta, quello dell’europarlamentare barese del Pd, che ha iniziato a manifestarsi subito dopo la vicenda giudiziaria dell’ex assessore e consigliere regionale salentino Alessandro Delli Noci, che – come è noto – lo scorso hanno è strato tra i principali sostenitori di Decaro al Parlamento europeo in Puglia e, soprattutto, nel Salento. Nel centrodestra, invece, sembra farsi strada sempre di più l’ipotesi di candidatura a governatore del deputato forzista brindisino Mauro D’Attis. Infatti, secondo indiscrezioni, questa volta ad indicare il nome del candidato presidente di centrodestra in Puglia dovrebbe essere il partito di Antonio Tajani. Però, se per il centrosinistra il candidato presidente non dovesse essere Decaro, allora è possibile che nel centrodestra prenda quota la candidatura dell’eurodeputato fittiano Francesco Ventola di Fdi. In tal caso, il partito di Giorgia Meloni verosimilmente rinuncerebbe a rivendicare la designazione alla successione del leghista Luca Zaia in Veneto. E ciò sarebbe sicuramente per impegnare ancor di più il partito di Matteo Salvini a battersi in Puglia, per tentare di vincere le regionali, dopo 20 anni di sconfitte consecutive ed un centrodestra che in Piglia nello stesso arco temporale non sempre si è battuto con compattezza e convinzione.

Giuseppe Palella


Pubblicato il 3 Luglio 2025

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