Perchè lo stato italiano deve finanziare ciò che il popolo non richiede, ne’ pretende: l’istruzione e la cultura ?
Da uno studio di “Eurostat” veniamo a sapere con amarezza che l’italietta e la grecia sono il fanalino di coda nella Ue per le spese di Istruzione e Cultura. Abbiamo l’imbarazzo della scelta nell’indicare quali dei Grandi Poeti, Filosofi, Scienziati, Artisti, Musicisti Greci e Italiani, motivati da immensa indignazione e disgusto, avrebbero il diritto, se non il dovere, di spernacchiare, non solo, i governanti delle nazioni che furono nei millenni la forza motrice della Civilizzazione dell’intero occidente, ma i popolicchi di esse. Non è una fortuita contingenza che l’italietta e la grecia stiano attraversando un periodo di gravissima crisi socioeconomica: debito pubblico immane, disoccupazione insopportabile, classe o casta politica incolta e, perché sì fatta, priva di Codici di Eticità, pericolosi rigurgiti ideologici di totalitarismo fascista e nazista, come bacilli, virus che si risvegliano in organismi, dalle carenti difese immunitarie, incapaci, quindi, di riaddormentarli o di stroncarli, definitivamente. Quotidianamente, i media, sia cartacei, che catodici, ci immalinconiscono, mettendoci a parte del baratro in cui è caduta la grecia, senza giri di parole o ipocrite perifrasi, commissariata dalla troika composta da Ue, Bce, Fmi e, pertanto, per il momento, del quale non si sa quanti milioni o miliardi di minuti durerà, non libera di decidere il suo destino, e avvisandoci che a noi italiettini poco è mancato di fare il salto nel buio e che, comunque, il buio è, ognora, alla portata dei nostri occhi. Tralasciamo di parlare della grecia, della quale non conosciamo con precisione le cause remote e recenti che hanno determinato, generato i suoi drammi attuali, e soffermiamo la nostra attenzione sull’italietta, per cercare di Capire cosa abbia scatenato il, sempre possibile, suo irreparabile ”default”, che sta per “abbandono” al declino in tutti i campi della vita associata, non solo, in quello economico. Se saremo riusciti a Capire, la ricetta per mettere qualche pezza ai guasti, che ci travagliano, starà in ciò che avremo Capito. “Sono gli uomini che fanno la storia”, Diceva Sartre nella “Critica della Ragione Dialettica”, riuniti in caste, classi, in gruppi oligarchici, in masse. Nelle società chiuse non c’è alcuna mobilità sociale: un individuo nasce e muore nel gruppo sociale di appartenenza dei suoi parenti, rassegnato alla vita o soddisfatto della vita che lo scoglio, in cui il destino o il caso l’ha posto, gli permette di condurre. Diverso è il Vissuto dell’individuo nelle Società Aperte: la mobilità sociale è frenetica, si può, infatti, trascorrere dal bieco anonimato nella o della massa, nella o della classe depositata al gradino più basso della scala sociale, fino a, metaforicamente, vedere le stelle dell’eccellenza economica, culturale che è, poi, per non pochi il lasciapassare per entrare in quella famosa “stanza dei bottoni” in cui si decidono le sorti di un paese. Da quanto abbiamo detto, si evince che le Società Aperte sono più Improntate alla Giustizia, Trovano la loro Coesione nei Comportamenti Etici di Coloro che Le Compongono, la Parola è lo Strumento per Dirimere qualsiasi controversia e nelle controversie Vince, Democraticamente, Chi Esprime le Idee Migliori nel Modo Migliore. La Parola non è solo la emissione di suoni, più o meno articolati, da un organismo sano, ma è la Sublime Conquista di Chi “vult esse faber fortunae suae” e, se al destino sostituiamo la Storia, allora, la Parola sarà, non solo, la Sublime, bensì l’Umanissima Conquista di Chi vuol essere Artefice della sua Storia e Concorrere, Responsabilmente, con gli altri per gli altri alla Storia oltre la sua individuale che non deve, giammai, essere teleologizzata alla realizzazione di interessi egoistici. Le Società Aperte, inoltre, per permettere ad ogni loro Associato di ImpossessarSi della Parola, Istituiscono, prelevando dal pubblico erario i finanziamenti, Scuole, Accademie, Università dove, grazie alla Guida di Illustri, Severi, Rigorosi Maestri, i Futuri Cittadini, sin dall’adolescenza, sono messi a parte dei Segreti della Retorica che è l’Arte del Parlare Bene e Scrivere Bene. Bisogna Precisare che nelle società chiuse l’ammaestramento alla parola non avviene con il denaro pubblico in istituti d’istruzione pubblici, ma ogni famiglia di una casta, di una classe egemone, di un gruppo oligarchico ingaggia maestri prezzolati che allenano gli adolescenti ad un uso, con gli artifici della retorica, della parola finalizzato a percorrere, spesso in modo fraudolento, il “cursus honorum” solo a loro riservato, che in roma, ad esempio. dalle cariche o incarichi militari si espandeva alle cariche o incarichi politici. La parola suasiva e bella, nei contenuti, però, mendaci, serviva ai cesare, ai pompeo, ai catilina, ai mario, agli scipioni, agli augusti, sia per infinocchiare le carni da macello, prodotte dalla plebs urbana e rustica, incitandole al “pro patria mori”, sia per produrre il consenso di esse alla loro politica imperialistica. Ancora, nelle Società Aperte per l’urgenza, la necessità della Dialettica Politica tutti i Cittadini sono Spinti a Perfezionare la loro Disponibilità a Parlare in pubblico, a InformarSi dei problemi da Risolvere nella “Polis”, a Interrogare, machiavellianamente, i Grandi del passato per Sapere da Essi come Si Risolsero in situazioni analoghe a quelle che essi stanno vivendo. In questo modo tutto il Popolo Progredisce in Istruzione e Cultura e Si Sente, vivacemente, Partecipe, ché in grado di Esserlo e di Farlo, del Governo della sua Città o del suo Stato. Nella sua “Storia della Letteratura Italiana” Foscolo Afferma che Dante non Si sarebbe potuto Formare, come Poeta, a palermo, ma solo a Firenze. A palermo, infatti, regnando Federico II, non era possibile alcuna Dialettica Politica in quanto tutto era deciso dall’imperatore il quale, dopo aver atteso in completa solitudine al come disbrigare gli affari di stato, la sera in compagnia dei suoi funzionari, ai quali durante il giorno assegnava il compito di dare esecuzione alle sue indiscutibili decisioni, giocava a poetare con variazioni sul tema dell’Amore. Il popolo, escluso da qualsiasi controllo, giudizio di merito, parere, sia pure consultivo, sulle deliberazioni del principe, non era incoraggiato a Perfezionare la Parola, cosicché tra il pasoliniano “palazzo” e il popolo palermitano e del regno c’era una sorta di incomunicabilità, soprattutto, culturale ché ogni nuova Acquisizione Scientifica, Filosofica, ogni nuovo Sapere rimanevano rintanati all’interno della curia imperiale. Per il popolo palermitano dall’indigenza culturale, all’inopia politica, alla estrema povertà materiale il passo era breve. A Firenze, invece, c’era Fermento di Vita, di Passioni, i Cittadini, incoraggiati dalla particolare forma di reggimento della Città, avevano Voglia di EsprimerSi in tutti i momenti, occasioni, luoghi dove qualcosa si decideva per loro e non contro di loro. L’Espressione, su tutto ciò che avrebbe potuto riguardare l’insieme delle umane relazioni, che diventavano sempre più complesse, ogni totalità sociale essendo un organismo liquido che la fa diventare totalizzazione in corso, Creò una Lingua che tutti i Fiorentini Parlavano e Usavano in ogni circostanza del loro Vivere, dalle più modeste, umili, alle più Nobili, come l’Amare. Tra quei Cittadini, tra quei Fiorentini furono Uomini e Poeti gli Stilnovisti Guinizzelli, Cavalcanti e Dante, Petrarca, Boccaccio. L’italietta di oggi, che occupa, insieme alla grecia, l’ultimo posto tra i paesi della Ue per la micragna del suo governo nello spendere a favore dell’Istruzione e della Cultura, è solo, formalmente, una Società Aperta. Non c’è, assolutamente, mobilità sociale, che dovrebbe essere assicurata dal Lavoro, in qualsiasi maniera esplicato, Fondamento, secondo la nostra Costituzione, della repubblica italiettina che cassa i privilegi di “magnanimi lombi” o di casta. A parte la disoccupazione, ormai, dilagante, le occupazioni intellettuali e delle professioni di un certo prestigio, salvo rare eccezioni, si trasmettono di padre in figlio: ci sono famiglie di medici, di ingegneri, di notai, di farmacisti, di cattedratici universitari, di alti gradi militari, di politici, perfino. Se si nasce piccolo-borghesi (nella piccola borghesia includiamo il proletariato che, pur avendo la sua ragion d’essere e di esistere dal punto di vista economico, e del padronale sfruttamento, ha acquisito tutti i pregiudizi e la sottocultura della piccola borghesia), tali si rimane, ai margini o esclusi da qualsiasi coinvolgimento nella elaborazione delle decisioni politiche che riguardano l’Interesse Generale del paese. C’è da aggiungere che gran parte dei disoccupati nell’italietta di oggi sono proprio i giovani rampolli della piccola borghesia, che, pur, titolari di diplomi e di lauree, sono costretti ad occupazioni a cui i loro maggiori attendevano con niun pezzo di carta o con certificazioni di frequenze scolastiche di poco momento. Non è l’italietta di oggi una Società Aperta, ché è democratica nella forma, non nella sostanza, essendo i titolari del diritto – dovere del voto non Cittadini, ma condomini tra loro litigiosi, cioè inconsapevoli elettori attivi e incapaci, incompetenti elettori passivi. Quale Sovranità potrà mai accampare un popolo che, contro natura, essendo l’uomo, eminentemente, “zoon politikon”, “animale sociale”, nella stragrande maggioranza dichiara di non interessarsi di “Politica”, la Disciplina che, con Passione Coltivata, Permette la Realizzazione del Benessere e della Comune Felicità ? Ecco le gravissime responsabilità di tutti i livelli dell’istituzione scolastica italiettina! Si tollera che il popolo bue piccolo borghese, l’esclusivo cliente della scuola e dell’università italiettina, le frequenti non per Istruirsi, impossessandosi del manzoniano “latinorum”, utile strumento di potere per assoggettare l’uomo ma, anche, per Liberarsi dalle marxiane secolari catene; non per Possedere quella Parola che in Democrazia Serve per far Valere le Ragioni Rivoluzionarie dell’Uomo di Buona Volontà; non per Acquisire la Cultura Letteraria, Filosofica, Scientifica, Artistica, Musicale che Coniuga la Bellezza con la Verità, ma per farsi rilasciare un pezzo di carta inservibile, soprattutto, come carta igienica. Se è latino che il popolo bue italiettino non vuole Istruirsi: con la sua assenza dolosa fa chiudere i Luoghi, come i Teatri, i Cinema, gli Auditorium, le Librerie, i Musei, le Pinacoteche, le Biblioteche, dove le Anime Si Fanno, Culturalmente, Belle, che significa, Parafrasando Antonio Tabucchi, Acquisire un Visione del Mondo Differente da quella imposta dal pensiero dominante; che significa essere Sorpresi dal Dubbio che ciò che l’istituzione vigente vuole “sia così”, “non sia così”, ché i bovini governanti, inconsapevolmente, eletti da un popolo bue, devono incrementare le risorse per l’Istruzione e la Cultura ? Non bastano, forse, i fondi che destinano per parcheggiare in edifici fatiscenti canee di questuanti di falsi salvacondotti per bypassare il becero Nulla, al quale costoro sono, senza fallo, destinati ? Ciò che, poi, i bovini, di cui testé Dicemmo, non elargiscono per l’Istruzione e la Cultura, serve per essere presenti, “more predappiani”, al tavolo di coloro che, a torto, facendo i classici conti senza l’oste, si considerano vincitori in tutti gli scenari di guerra organizzati dagli “states” o per acquistare costosissimi velivoli volanti da guerra, sempre, per far piacer ai boss degli ”states”. Ripetiamo, il popolo bue non vuole essere composto da Anime Belle e, “tamen”, NOI omettiamo di rimarcare ciò che esso vuole essere in eterno. Deleghiamo a un Futuro Grande Poeta o Scrittore il Compito di ficcare il naso dietro i nostri “omissis”. Infatti, compito, secondo Tabucchi, proprio della Letteratura è Conoscere per Far Conoscere. Una Conoscenza Intuitiva, secondo Pasolini, che proclamava:”Io so”, perché era Poeta, non perché avesse le prove su chi fosse stato il mandante e su chi avesse eseguito le stragi che avevano insanguinato l’Italia dal 1969. Quanti italiettini in questi anni di piombo hanno preferito il “niente saccio, niente vedo, niente sento”? Come i lemuri!
Pietro Aretino, già detto Avena Gaetano
pietroaretino68@email.it
Pubblicato il 10 Aprile 2013