Perché, Medea, perché?…
Perché, Medea, perché ?… E’ l’inespresso interrogativo che accomuna tutti i protagonisti dell’opera di Euripide. L’eco di questo interrogativo non ha ancora smesso di produrre i suoi riverberi. Tanto rancore della maga verso Giasone non può essere giustificato dal semplice tradimento di lui con Glauce, la figlia di Creonte, re di Corinto. Certo, Medea presenta una natura singolarmente crudele e sanguinaria, anche questo però non basta a spiegare una così lucida e persino compiaciuta pianificazione della nota strage. Dove non arriva Euripide, osa Enrico Bagnato, fertile ed apprezzato drammaturgo di casa nostra. Nella ‘sua’ riscrittura dell’opera, Bagnato si concede un’approfondita digressione a proposito del ruolo determinante avuto da Medea nella conquista del vello d’oro, mentre il merito di quell’impresa è universalmente riconosciuto a Giasone e, in sub-ordine, ai relativi compagni d’avventura, gli Argonauti. La digressione presenta il pregio di far riflettere sul fatto che per amore e solo per amore Medea, pur essendo di stirpe regale (suo padre è Eeta, re della Colchide), accetta di farsi da parte, di spalancare le porte del Mito a Giasone e di rassegnarsi a vivere all’ombra di un Eroe. Una condizione frustrante per una donna di sangue reale e dal temperamento debordante. A queste condizione, la relazione con Glauce non fa che da detonatore a una rabbia accecante e preesistente, sino a quel momento soffocata, ancora una volta per amore. Bagnato infine si distacca dal mito e invece di lasciar fuggire Medea alla volta di Atene a bordo di un carro trainato da due draghi, opta per un suicidio cui non è estraneo un tocco di grandeur. Questa ‘Medea’ è stata in cartellone al Duse per due settimane. La regia di Luigi Angiuli ne ha fatto una messinscena essenziale, che arriva con immediatezza e incontra il favore della platea. Cristina Angiuli scansa la seduzione dell’enfasi, perciò veste Medea di un rancore non altisonante, ma livido. Ben l’accompagnano in scena lo stesso Lino Angiuli, Maurizio De Vivo e Isabella Careccia. Interessanti le scelte musicali, prezioso pure il contributo il Monica Angiuli, che firma scene e costumi. – Prossimo appuntamento al Duse : venerdì 3, sabato 4 e domenica 5 novembre con ‘Il fiore del mio Genet’, testo e regia di Andrea Cramarossa. Con Federico Gobbi e Domenico Piscopo. Produzione Teatro delle Bambole. Dalle note di regia : “Il fiore del mio Genet”, è un ricordo, un omaggio, un encomio postumo, una riflessione sulla poetica estremamente poetica, un ingaggio delle anime perdute, del mondo melmoso e puro di Jean Genet.Due attori si muovono nelle dimensioni della sacralità e del ladrocinio, della mendicità e della santificazione. Due figure iconoclastiche, ora regali uccelli conquistatori, ora marinai che raccontano, ora feroci assassini, ora venditori di corpi. Stare con Genet, significa stare dalla parte di chi non è stato ascoltato, di chi ha avuto la maledizione di un destino duro fin dalla nascita, perduto da un ‘passaggio’ ad un altro, da un genitore ad un altro… Perduto, sì, in una eco infinita di pensieri che nessuno vuole condividere”.
Italo Interesse
Pubblicato il 31 Ottobre 2017