Cultura e Spettacoli

Pinuccio sono… e il cinema muore

Se deludono i back stage, che spezzano la magia di scene passate alla storia riproponendole da altra angolatura in mezzo a una folla di macchine, attrezzi e addetti ai lavori, male maggiore arrecherebbe un film-verità sull’iter economico, sociale e politico percorso da pellicole grandi e piccole. Chissà che delusione venire a conoscenza dei brogli, degli inganni e dell’esercizio di cinismo rimasti nascosti dietro ‘Il cielo sopra Berlino’, ‘Lo squalo’ o anche un ‘Roma a mano armata’. Una realtà che, se episodica sino a ieri, è la norma oggi, specie quando si parla di cinema per il piccolo schermo. I retroscena di serie televisive e fiction sono avvilenti. A raccontarne uno, ovviamente fittizio, sono A. Turi. M. Mongelli e Alessio Giannone. ‘E mò chiamo i cinesi’, che venerdì ha felicemente debuttato al Nuovo Abeliano in prima nazionale, vede in scena il solo Alessio Giannone diretto da Mimmo Mongelli. Il protagonista, tale Pinuccio, mira ad intascare qualche milioncino di euro con una fiction su Brixianus, un eroe celtico. Ma a causa dell’uscita della Lega dal grande giro della politica, urge a Pinuccio cambiare rotta, mediare fra contrapposti interessi, allo scopo di tenere in vita, opportunamente camuffato, il suo progetto. Di qui una serie pressoché ininterrotta di telefonate rivolte a dirigenti, registi, politici e attori che si svolge a sera sul bordo di un marciapiede all’esterno della sede Rai. Cinico ma non troppo (“ci vuole etica pure a rubare!” s’indigna a un certo punto), a metà strada fra l’alto faccendiere e il sensale di paese, arruffone senza stile, un po’ tamarro, ruffiano quanto basta, trasformista da anticamera, figura da sottobosco e Machiavelli di periferia, Pinuccio esemplifica il concetto di furbetto rampante dell’era globale. In sintesi, poiché viene da Bari, come fa intendere il suo italiano pesantemente cadenzato, definiamolo pure : nu zaraff. D’altra parte, il suo biglietto da visita è già nel presentarsi (‘Pinuccio sono’), modalità d’approccio che omaggia-deride l’icona della fiction made in Italy. Testo politicamente scorrettissimo (quante frecce scagliate da Mimmo Mongelli, cineasta invece rimasto pulito), ‘E mò chiamo i cinesi’ è spettacolo assai spassoso, per quanto amaro sia il retrogusto d’ogni risata. Giannone, che nei suoi trascorsi ha mostrato grande dimestichezza con questo tipo di personaggio, si conferma piuttosto bravo. Mongelli lo dirige con cautela affinché il gesto non vada mai a sovrapporsi al testo, la cui forza è fondante, perciò attorno gli disegna il vuoto : non un passante, un mezzo che sfreccia, una sirena in lontananza. In fondo, Pinuccio è un uomo solo. Resta da dire dei Cinesi. Nei brevi intermezzi di riflessione tra una telefonata e l’altra, il Nostro ci pensa seriamente : Quelli hanno i soldi e lavorano come formiche, che differenza può fare per loro produrre peluche, componenti d’elettronica o fiction? La riflessione, che un poco ha il sapore della profezia, getta un’ombra sinistra sul futuro del cinema (da piccolo o grande schermo) tanto in un’Italia sgangherata che tra le mura di una Puglia che ‘si sente’. Consoliamoci all’idea che ben difficilmente (mai dire mai) un testo siffatto potrà essere scritto a proposito di teatro.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 28 Gennaio 2015

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