Cultura e Spettacoli

Più che il comodo potè può la moda

Anno nuovo, lunghezza nuova dei nostri Scritti. Abbiamo approfittato troppo della Pazienza, della Liberalità del Direttore Luciano Ventura che ignora il significato della parola”censura”. Da oggi Scriveremo “Elzeviri”, un genere giornalistico di approfondimento, di solito non legato alla cronaca. Spesso, collocato all’interno dei quotidiani, quando esisteva nei giornali la bella abitudine da parte delle redazioni di essi di comporre la famosa “terza pagina” dedicata alla Cultura, alla Letteratura, alle Arti. Ma gli Scrittori di ”Elzeviri” si sono anche occupati con serrata, mordace, corrosiva ironia ”de omnibus humanis rebus”, brillando per la loro efficacia nell’usare il bisturi nella viva volgarità dell’imbecillità con la nitida eleganza di ciò che è più congeniale non alla bella Scrittura, “sed” alla Libertà e Verità che non possono non essere in Essa contenute. Per iniziare a rompere i “maroni” agli imbecilli, parleremo degli imbecilli, profondamente, totalmente, barbuti e di quelli che si pavoneggiano con la barba non folta, apparentemente, incolta. Quando li vediamo in televisione o in quelle rare volte che CI “Educhiamo” dal nostro Bunker, fortemente, difeso da una insormontabile barricata di Libri e inaccessibile a tutto ciò che odora di plebea coralità, immantinente, Sentiamo la brama di immergere, a guisa di antifona, il nostro Cranio tra i fiotti robusti di acqua sgorgante da una fontanella o di offrirLo ai goccioloni di pioggia, di cui sentiremo, struggentemente, la mancanza, quando per nostra fortuna, la morte Ci risparmierà la visione del viso dei barbuti per moda e, come testé Lamentammo, dei barbutelli. Ché i tapini coralizzati, giammai, gustano il piacere, persino di fattura erotica, di un colpo di brezza sulle loro facce, volti, belli, magari, coperti da insana, malsana, contaminata peluria, ricettacolo di tutti i batteri che trovano ospitale “habitat” per crescere, moltiplicarsi, diffondersi nel caso, nella eventualità i loro ospiti dovessero avere una o un “partner” da attingere nel dantesco “disiato riso”, con quel po’, po’ di nerume o di biondume o di rossume o di biancume, tal siepe di tipo leopardiano, da costituire severo filtro, soprattutto, alla frescura del divino, celeste licore che, intatta, ne delizi la pelle infante o senile. Qualche rigo sopra accusammo la moda d’essere l’ispiratrice dei barbuti e barbutelli senza età; tutte le stagioni della vita, infatti, ahimè, li annoverano tra coloro che non sanno fare la sottrazione per essere belli. La Bellezza, infatti, è più un’operazione di sottrazione che di posticce, inutili aggiunte. Ché diciamo che i Bambini sono belli ? Ché la loro, ancora, breve esistenza non è frastornata da sovrastrutture di tipo culturale e, se il loro corpicino s’obera d’inutile abbigliamento, se il loro crine assume fogge non consone alla loro età, la colpa è dei loro parenti che deformano ciò che la Natura Forma. Il termine “moda”, peggio, “tendenza” indica uno o più comportamenti collettivi che spaziano nel vario umano agire: ci sono mode, tendenze: linguistiche, gestuali, persino, culinarie, turistiche, sportive, ecc., ecc.,ecc. Il termine ”moda”, peggio, “tendenza”, deriva dal Latino “modus” (maniera, norma regola, tra l’altro), quindi, essa è una camicia di forza, un carcere in cui sono rinchiusi i ”poveri di spirito”, una forza dispotica che si serve della capacità di diffusione tra gli “idioti”, da parte dei ”media” cartacei, catodici, cibernetici, dei suoi innumeri “dictat” per “gregalizzarli”, omologarli, spegnere in essi il poco di disponibilità a reagire, criticamente, agli “imput” dall’esterno. Stavamo meglio quando stavamo peggio, cioè, quando istituzionalizzate nell’essere, seriamente, cogenti con il codicillo di pene, se trasgredite, o, tacitamente, osservate, tutte le classi sociali conoscevano le ”leggi suntuarie”, promulgate in epoca romana, che, oltre a costituire una chiara testimonianza del variare delle mode in ogni tempo, contemplavano dispositivi legislativi per obbligare determinati gruppi sociali a indossare segni distintivi, per identificare, ad esempio, le classi, le mansioni sacerdotali, amministrative, militari. Le “leggi suntuarie” furono abolite durante la rivoluzione francese, anche se, come dianzi Dicemmo, continuarono ad essere ottemperate, non troppo lontano dagli albori dei nostri giorni, nella silenziosa dialettica tra l’ “Io” e il SuperIo  che imponeva, alle masse, culturalmente, inermi e anche a coloro che,  per i percorsi di studio seguiti, avrebbero dovuto essere più forgiati nel loro libero arbitrio,  segnali discriminatori della classe di appartenenza, dei mestieri, delle professioni esercitati. Segnali, anche, dello stato della fedina penale Oggi, anche coloro che hanno la fedina penale pulita, sia ricchi che poveri, sia indigeni che extracomunitari, sia analfabeti, che colti, diciamo, presumiamo, hanno il corpo infestato di tatuaggi, di dolorosissimi “piercing” che prima individuavano i galeotti; contro il comodo di potersi sciacquare con facilità le guance e fruire  dell’ebbrezza delle acquatiche abluzioni, sia adolescenti che giovani che vecchi, quali che siano le loro native scaturigini, qualunque cosa facciano per vivere o sopravvivere, si coprono con fitta o leggera peluria: come sotto un burqa (quasi l’assoluto, da Hegel paragonato alla ”la notte in cui tutte le vacche sono nere”) ove non c’è la Donna, Domina del suo Destino, sebbene c’è la vagina assoluta, sciolta, a prescindere da qualsiasi peculiarità, così al di sotto dei villi non c’è l’Uomo, ma un genitale maschile, probabilmente, buono per “taurizzare”, incapace, bensì, di “espandersi” verso l’altro o gli altri per Fondare la leopardiana “social compagnia” inclusiva dei Diritti e dei Doveri di Tutti, da Tutti, consapevolmente, accettata e accettati.

 

Pietro Aretino, già detto Avena Gaetano

pietroaretino38@alice.it 


Pubblicato il 31 Dicembre 2013

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