Poltrone in pelle umana, leggenda di Conversano?
Una delle più discusse figure di Puglia resta quella di Giangirolamo II Acquaviva d’Aragona, detto il Guercio, conte di Conversano e duca di Nardò. Fu davvero costui un mostro di crudeltà? Pare si avvalesse dello jus primae noctis, che dalla torre del castello si dilettasse a sparare alle donne che attingevano l’acqua da una vicina fontana e che, fatti scuoiare alcuni canonici ribelli di Nardò, avesse tappezzato delle loro pelli alcune poltrone. Quest’ultima diceria potrebbe rispondere a verità, considerando la disumana e storicamente documentata energia spiegata dal Guercio nella repressione dei moti di Nardò del 1647. La rivolta della città salentina si inserisce nell’insofferenza della gente del Mezzogiorno verso gli Spagnoli che con la pace di Chateau Cambrésis avevano rinsaldato il loro potere sul Reame di Napoli. La rivolta di Nardò prese fuoco la sera del 21 luglio. A soffocare la protesta fu chiamato il Guercio che si presentò sotto le mura della città con 4000 uomini. Dopo 48 ore di assedio, l’Acquaviva, constatata l’entità delle fortificazioni e il modo rabbioso col quale i neretini si difendevano, cambiò tattica. Venuto a patti, potette entrare in Nardò rassicurando e facendo ampie concessioni. Era una trappola. Fatto ingresso nella città e ottenuto il disarmo dei difensori, il Guergio sguinzagliò un centinaio di provocatori con l’ordine, alla prima occasione, di riattivare la rivolta. Cosa che essi fecero in capo a due settimane. L’11 agosto essendo Nardò tornata in subbuglio, il Guercio si ripresentò in forze. Non trovando ostacoli, scatenò la repressione. Fu un bagno di sangue accompagnato da stupri, saccheggi e devastazioni. Nemmeno i religiosi furono risparmiati. Sei sacerdoti vennero ‘archibugiati’, la sera del 20, dietro il Convento di S. Francesco di Paola. Le loro teste, mozzate da un soldato di Melfi, furono a sfregio collocate sugli stalli dei cori della Cattedrale e calzate del berretto canonicale. Se è vero che la pelle di quei poveri preti venne adoperata per rivestire poltrone, deve rispondere a verità anche la voce di chi afferma di aver visto con i propri occhi queste poltrone custodite nel casino di caccia di Marchione ancora fino a inizio Novecento. Tutte le testimonianze convergono su un dettaglio particolarmente greve : la presenza di inconfondibili capezzoli umani. Che fine fecero quelle poltrone? Di sicuro sappiamo che il casino di Marchionne verso la fine del sec. XIX versava in uno stato di grave degrado (dato in affitto insieme alla tenuta ad agricoltori disattenti verso i beni artistici, era stato adibito a stalla e deposito attrezzi). Solo negli anni venti, quando la proprietà venne ereditata dalla principessa Giulia Acquaviva d’Aragona, il castello conobbe il primo restauro. Forse nella circostanza, facendo l’inventario del sopravvissuto, emersero dalla polvere le famose poltrone che possiamo immaginare date alle fiamme dalla pietosa e inorridita dama.
Italo Interesse
Pubblicato il 17 Settembre 2013