Cultura e Spettacoli

Prima i galeotti, poi i pescatori

Si presenta come un glabro pianoro lungo 700 m. e largo 250. Si estende per un 13 ettari e nel punto più alto non arriva a quindici metri ; durante le mareggiate viene sommersa interamente dal mare. La chiamano isola, in realtà è solo un vasto scoglio affiorante. Questa è Pianosa, la più lontana delle Tremiti. Disabitata, distante una ventina di chilometri dal noto arcipelago, Pianosa ne fa parte dal punto di vista geologico, oltre che amministrativo (è il punto più a nord della Puglia e le sue acque rientrano nella Riserva Marina delle Isole Tremiti). Restando però alla geologia, non è Pianosa l’ultimo sito emerso del continente garganico. Proseguendo lungo la direttrice Tremiti-Lagosta (l’isola più vicina dell’arcipelago dalmata), venti miglia marine oltre Pianosa si incontra Pelagosa Grande, un isolotto che si erge per 103 metri, esteso per meno di mezzo chilometro quadrato e così battezzato per distinguerlo da Pelagosa Piccola, che con altri scogli completa l’omonimo arcipelago. Facendo parte della nostra piattaforma continentale, l’arcipelago di Pelagosa è geograficamente italiano. Politicamente, invece, fa parte della Repubblica di Croazia. Tuttavia, dati i buoni rapporti col governo croato, è tollerato che in nostri pescherecci gettino le reti in quelle acque. Per la sua relativa inaccessibilità l’arcipelago di Pelagosa è un piccolo paradiso terrestre. L’unica struttura antropica, presente su Pelagosa Grande, è il complesso architettonico del faro, funzionante dal 1877 e comprensivo di un osservatorio meteorologico, una cappelletta riservata al culto di San Michele e due piccoli fabbricati destinati ai turisti (chi sia interessato, si rivolga all’Ente Nazionale Croato del Turismo). A parte i tre guardiani a presidio del faro, non si registrano altri insediamenti stabili. Pelagosa è stata italiana sino alla fine della seconda guerra mondiale. In precedenza aveva fatto parte del Regno di Napoli. A tale proposito merita d’essere raccontato quanto segue : Verso la fine del Settecento Ferdinando IV istituì colonie penali a Pelagosa e a San Nicola (Tremiti). Con l’avvento di Gioacchino Murat quei reclusi vennero liberati. Al ritorno dei Borbone, Ferdinando II, nel 1843 decise di rilanciare sia Pelagosa che le Tremiti ripopolandole, questa volta di pescatori. Ma chi mandare all’estrema periferia del Regno? La scelta cadde su alcuni abitanti di Ischia. Perché poi proprio gli abitanti di Ischia e non di Capri o di Procida si può spiegare col fatto che all’epoca Ischia era l’isola più popolosa dell’arcipelago campano, sicché là era più facile ‘ingaggiare’ il centinaio di famiglie che facevano al caso del Borbone. Un piccolo popolo di onesti disgraziati coeso dalla prospettiva di avere nulla da perdere e qualcosa da guadagnare, stante l’assoluta miseria di partenza. Ferdinando dovette promettere loro il sogno di tutta una vita : una casa, una barca e un fazzoletto di terra. Perché non accettare? Accettarono. Di essi una parte si sistemò alle Tremiti, l’altra a Pelagosa. Con l’avvento del Regno d’Italia l’incuria e l’inefficienza delle nuove istituzioni scontentò subito la colonia di Pelagosa. Cominciarono le prime defezioni. Le defezioni divennero esodo collettivo quando nel 1873, e senza che l’Italia reagisse, gli Austriaci si impossessarono dell’arcipelago. I profughi trovarono rifugio alle Tremiti, dove si ricongiunsero con parenti e amici. Nel 1920, a seguito degli accordi di pace, Pelagosa tornò italiana. Il Fascismo allora rilanciò la carta della colonizzazione attingendo dalla colonia ischitana delle Tremiti. Ma con la sconfitta nel secondo conflitto e la cessione di Pelagosa alla Jugoslavia quegli ischitani dovettero ancora fare fagotto. Rientrarono alle Tremiti? Forse sì, almeno in parte, contribuendo a tenere in vita un patrimonio linguistico di cui resta oggi solo un’inflessione campana.

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 31 Marzo 2020

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