Quando la violenza diviene “una faccenda di famiglia”
Presentato presso la Sala Convegni dell’Hotel Excelsior di Bari il Convegno Internazionale sul tema: “La violenza nelle mura domestiche e maltrattamenti in famiglia: Stati Uniti e Italia a confronto”.
L’evento internazionale è stato organizzato dalle associazioni Penelope Italia Onlus, Penelope Puglia Onlus e Gens Nova Onlus in collaborazione con l’I.P.A. (International Police Association) e con il coinvolgimento di altre realtà associative del territorio regionale e nazionale.
Eccellenti relatori sono stati il Dott. Michael F. Pietruszka, Giudice Dipendente della Suprema Corte di Giustizia di New York; l’avv. Antonio Maria Lascala, avvocato Penalista del Foro di Bari, Presidente nazionale dell’associazione Penelope Italia Onlus e Gens Nova Onlus e il Gen. Nicola Marzulli, Comandante del Corpo di Polizia Locale di Bari.
Il Generale della Polizia, Nicola Marzulli, dopo aver salutato tutti i presenti ha voluto mettere in risalto l’importante momento di confronto tra Usa e Italia reso possibile dall’evento e si è soffermato sul fenomeno del maltrattamento tra le mura domestiche. Queste le sue parole: “la violenza tra le mura domestiche giorno per giorno assume aspetto e contorni preoccupanti. In passato era considerata una giusta correzione fra coniugi. Finalmente è venuta meno la convinzione che ciò che avviene tra le mura domestiche sia una questione privata. In realtà si tratta di una vera questione sociale. Il maltrattamento in famiglia incide sul benessere sociale ed economico dell’intera società. Si parla di stupri, violenza sessuale, maternità forzata e non si parla di quella che è la vera natura del fenomeno. Siamo noi uomini che dobbiamo dare coraggio e forza alle donne di reagire e di denunciare”.
Proprio a testimonianza di tale fenomeno nel corso del convegno è intervenuta una donna vittima di maltrattamenti per numerosi anni. La signora Anna (nome di fantasia) ha raccontato la sua triste esperienza che per fortuna si sta risolvendo. Toccanti le sue parole: “Dopo tanti anni di maltrattamenti dal mio ex marito, sono riuscita a dire basta. Il mio ex mi ha sempre riempito di botte fino a lasciarmi stecchita per terra. Poiché lavora nell’arma ha il possesso della pistola con la quale mi ha sempre minacciato dicendomi che se l’avessi denunciato mi avrebbe ucciso. Ad un certo punto ho trovato il coraggio di denunciarlo e l’ho fatto allontanare dalla nostra abitazione, ma dopo alcuni mesi ho subito un ricatto economico e visto che non lavoravo l’ho ripreso in casa. Un grande errore. Sono purtroppo ancora a rischio vita. Ho quattro figlie, tutte minori all’epoca delle violenze. Dopo aver acquisito le prove la magistratura ha finalmente deciso di intervenire. Sono qui perché voglio invitare chi subisce maltrattamenti a non desistere e a non aver paura di denunciare. Il mio è un invito a dire che abbiamo coraggio”.
L’invito di Anna diviene un importante messaggio per tutte le donne che come lei subiscono maltrattamenti perché succede ancora troppo spesso che una donna che vuole denunciare il partner sia invitata cordialmente e paternalmente a ripensarci anche da parte di quelle stesse autorità che dovrebbero recepire la denuncia. Dalle sue parole inoltre vengono fuori alcuni aspetti messi in luce in modo magistrale dall’Avv. Lascala durante il suo intervento.
Antonio Lascala ha introdotto l’argomento soffermandosi sull’etimologia della parola e sulla norma del codice penale che parla di tale reato. Ha ribadito che il termine “maltrattamento” si utilizza per far riferimento a chiunque maltratta e che non presuppone necessariamente un atto di violenza fisica. La lesione non è indispensabile, non è necessaria. La lesione quando c’è, dà origine ad altri reati o ad aggravanti. Maltrattare significa “trattare male” anche semplicemente con offese e o gesti reiterati nel tempo. Naturalmente la singola offesa e ingiuria non dà luogo al reato di maltrattamento. Deve trattarsi di una soggezione morale o fisica continuata di un membro della famiglia ad un altro. Maltrattare significa offendere, denigrare umiliare. Questo reato introdotto nei delitti in famiglia, è applicato anche agli insegnanti perché è stato esteso al rapporto di vigilanza, istruzione e cura. Rientra oggi tra i delitti aggravati dall’evento, per i quali più grave è l’evento maggiore è la pena applicata.
Il nostro diritto penale prevede il reato di “Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli”, che è così definito dall’articolo 572 del codice penale: “Chiunque, (…) maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni 14, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni”. La pena è aggravata se dal fatto derivano lesioni personali o la morte. Come è possibile notare la definizione del reato nasce in un’altra epoca storica, ed è orientata al maltrattamento come violenza fisica.
La formulazione generica della norma, per fortuna però, è stata in seguito adeguata all’evoluzione della società. Adesso la vittima ha 6 mesi di tempo per riflettere sull’azione da proporre e può anche decidere di ritirare la denuncia. Qualcosa però è cambiato: prima bastava un semplice verbale di remissione e per far venir meno la querela bastava recarsi in un qualsiasi posto di polizia. Oggi invece bisogna andare dal magistrato titolare giudiziario del procedimento penale.
Un altro grosso problema è sempre stato rappresentato dai costi del procedimento. Dal 2013 per fortuna è stato stabilito il gratuito patrocinio per qualsiasi vittima, qualunque sia la fascia reddituale.
Ulteriore elemento di novità: qualora il giudice decida di adottare la custodia cautelare se l’avvocato del carnefice presenta istanza di scarcerazione, adesso il giudice deve prima chiamare e sentire la vittima di violenza. Il legislatore per questi aspetti è quindi riuscito a trovare delle buone soluzioni. Resta però ancora un grosso difetto della legislazione vigente. Essa non copre infatti il periodo che va dalla querela al processo e al giudizio. Ci sono case protette ma non è come vivere a casa propria.
Ultima importante novità riguarda la pena sospesa che non viene più concessa a chiunque, ma che viene data solo dietro versamento di tutti gli arretrati, proprio come accade per i reati tributari.
È intervenuto infine il giudice della Corte federale di New York che ha sottolineato che Negli Stati Uniti le cause si concludono di solito in soli 90 giorni. Per i reati di maltrattamento non è necessaria alcuna querela: differenza di rilievo rispetto all’Italia è infatti la procedibilità d’ufficio. Da noi la vittima deve fare la querela entro sei mesi, negli Stati Uniti invece no. Se la Polizia e le forze dell’ordine vengono a conoscenza del maltrattamento, a prescindere che la vittima faccia denuncia o meno, si procede ugualmente e questa è una grandissima garanzia perché invece in Italia le denunce scarseggiano perché spesso le donne hanno paura: per la propria incolumità fisica, per la propria vita e per quella dei figli, di non essere credute e di non essere considerate.
Nello Stato di New York esiste una banca dati specifica nella quale sono contenuti i nominativi di tutti coloro che hanno subito denunce e condanne per maltrattamento. Pertanto qualora qualcuno dovesse ricevere una denuncia, le forze di polizia immediatamente riescono a verificare se ha dei precedenti per tale reato. In Italia non esiste alcuna banca dati similare. L’unica esistente è quella istituita presso la polizia postale per la pedopornografia informatica.
Anche negli Stati Uniti, così come da noi, esiste un doppio binario: c’è il riconoscimento del reato penale e del relativo procedimento, ma c’è anche un Tribunale civile che si occupa di tutte le vicende di carattere civile a tutela della donna che ha subito maltrattamenti.
Infine anche negli States esistono apposite strutture dove poter alloggiare le donne vittime di abusi. Quelle che noi chiamano case-protette da loro prendono il nome di case-rifugio. Ha però anche sottolineato che proprio come in Italia anche a New York molte donne non accettano di lasciare la loro abitazione per recarsi in queste strutture perché ritengono che non sono loro a dover subire una restrizione della loro libertà ma i loro aguzzini.
Al termine del convegno è quindi emerso che sono ancora troppe le donne che continuano a subire violenza da parte del proprio compagno di vita, una violenza spesso non solo fisica ma anche psicologica, economica e sessuale; donne che quasi sempre si ritrovano isolate da amici e parenti a dover far fronte ad una situazione di sottomissione e paura. Donne sole ma molto più coraggiose rispetto al passato.
Marina Basile
Pubblicato il 30 Maggio 2017