Cultura e Spettacoli

Quei milioni di gusci in riva al Mar Piccolo

Visitatori del passato (Janet Ross nell’Ottocento e Von Riesedel nel Settecento) concordano che a Taranto : “In riva a Mar Piccolo, non lontano da Santa Lucia”  si levava una “collinetta detta Monte dei Coccioli” (Von Riesedel) composta da “un enorme cumulo di gusci” (Ross). I gusci in questione sono quelli del Bolinus Brandaris, il mollusco da una cui ghiandola viene secreto il liquido violaceo che in passato si adopera per colorare le stoffe. Innanzitutto, dove si levava questo ammasso? Santa Lucia è un sito dell’antica toponomastica di Taranto. A tale toponimo non corrisponde oggi neanche una via. Ne resta traccia solo in una parrocchia (quella di via Generale Giuseppe Messina) e nel ben noto Molo affacciato sul Mar Grande, dove trova posta un’omonima Sezione Nautica. Data la vicinanza della chiesa di via G. G. Messina al Mar Piccolo, si può immaginare che il cumulo di cui ci stiamo occupando si elevasse in corrispondenza del primo pilone del Ponte di Punta Penna , un’area al presente fortemente antropizzata ma che ancora ai primi del Novecento doveva presentarsi pressoché spopolata, salvo poche casupole e baracche di pescatori. Ciò posto, quali le dimensioni di quella ‘collinetta’? Un punto di riferimento possiamo trovarlo nel caso di Monte Testaccio a Roma. Il monte Testaccio, popolarmente noto come Monte dei Cocci, è una collina artificiale di circa 36 m di altezza, che prese forma in epoca romana quando il sito venne trasformato in una discarica. È costituito da strati ordinatamente disposti di cocci provenienti da anfore olearie. I contenitori di terracotta, scaricati dal vicino porto fluviale sul Tevere, una volta svuotati del contenuto, venivano fracassati e ammonticchiati (lavarli, per restituirli alla loro funzione, costava troppo in termini di tempo e materiali in rapporto al valore del manufatto ; fulminante anticipazione del pensiero usa-e-getta della moderna industria) ; il colle trova posto tra le mura aureliane e la sponda sinistra del Tevere, nell’omonimo rione : Testaccio. Le dimensioni dell’altura artificiale capitolina ha scoraggiato qualunque tentativo di rimozione. Ciò che non è avvenuto a Taranto, evidentemente. Da ciò si deduce che il Monte dei Coccioli doveva essere assai meno imponente. E se fu possibile rimuoverlo con l’approssimativa tecnologia del primo Novecento, periodo in cui cominciò a prendere vita Taranto Nuova, è segno che quella ‘collinetta’ o ‘enorme cumulo’  non poteva superare i dieci metri di altezza. Raggiunta questa conclusione, proviamo a soddisfare un’innocente curiosità : quanti gusci di murice si erano accumulati a Santa Lucia? Calcoli approssimativi indicano in 53 milioni le anfore ridotte in schegge e ammonticchiate a Roma. Se si assegna almeno cento schegge ad anfora, si arriva a cinque miliardi e trecento milioni di cocci. Ora, un guscio di murice è sensibilmente più piccolo di un coccio d’anfora olearia… Considerata la differenza di dimensione fra i due ‘monti’, non è azzardato calcolare in almeno un paio di milioni i gusci accumulati a Taranto. Il che, indirettamente segnala la vivacità di un’attività industriale protrattasi per secoli. Quanto alla fine di tanto materiale, latitando ogni forma di pensiero ecologista prima delle grandi guerre, l’unica ragionevole ipotesi è che quel materiale sia stato disinvoltamente scaricato in mare, spingendo la linea dei costa per una trentina di metri di profondità lungo un tratto di litorale largo un centinaio di metri.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 31 Ottobre 2018

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