Questo (tipo di) matrimonio non s’ha da fare
Chiude domani ‘Promessi Sposi’, la manifestazione dedicata alle nozze ospitata nei locali della Fiera. Una manifestazione che si articola fra stand dedicati alle future spose, operazioni di casting per partecipare al concorso ‘Un giorno da modella’, dimostrazioni ad opera di chef per conto di una scuola di cucina e l’esposizione di opere in tema a firma degli studenti dell’Accademia delle Belle Arti. Un bilancio positivo sino ad ora considerando l’affluenza dei visitatori e il volume d’affari messo in moto. Tuttavia, alla luce di quello che sta avvenendo, come giustificare tanta attenzione? L’Italia è ai limiti della bancarotta, sono a rischio anche i posti degli statali, nel migliore dei casi ci aspetta una recessione da dopoguerra, eppure qui di parla di matrimoni a quattro zeri con la stessa leggerezza con cui si progetta una gita al Lunedì di Pasqua o un cenone in famiglia alla Vigilia di Natale. Dinanzi a numeri impietosi (il calo vertiginoso dei matrimoni) l’industria del matrimonio gioca al rilancio. Un comportamento non lontano da quello del giocatore in serata-no che in luogo d’abbandonare il tavolo verde e conservare le poche manciate di fiches sopravvissute s’incaponisce a sfidare una sorte palesemente ostile gettando in un colpo solo sul piatto ogni risorsa residua. Una strategia di gioco che novantanove volte su cento non paga. Confidare nel fatto che la gente ha bisogno di sognare, che siamo al Sud, la terra delle sagre, della tradizione, degli stereotipi e delle usanze tiranniche ci pare insufficiente. Pure da noi l’uomo comune comincia a domandarsi se abbia un senso indebitarsi, bruciare 50mila euro nel giro di neanche 24 ore al solo scopo di tappare la bocca al prossimo. Il sogno piccolo borghese, il provincialismo e l’abitudine a vivere al di sopra delle proprie possibilità hanno consentito sino ad ora di tenere in piedi la cattedrale dell’enfasi matrimoniale. Un miracolo che non può più durare a lungo dovendo adesso fare i conti con un nemico nuovo, inatteso e ben più insidioso – perché subdolo – della crisi economica : la stanchezza. La grandeur da nozze vuol dire uno sforzo che comincia molto prima del ‘sì, e che va in crescendo sino a toccare il tremendo parossismo del giorno del matrimonio. Sposarsi a queste condizioni vuol dire chiedere troppo a giovani che mai avrebbero immaginato di farsi attori di una messinscena pianificata (ci mancava il wedding planner) avendo al contempo la percezione d’essere non più che ingranaggi di un meccanismo. Giocare a Diana e Carlo d’Inghilterra non diverte, non gratifica, non assicura alcun salto in società. Cose come la sala prenotata con due anni di anticipo, l’assillo di sarti, fiorai, estetisti, acconciatori, fotografi, video maker, fiorai e preti (il corso prematrimoniale!) sono responsabili di crolli clamorosi al ritorno dal viaggio di nozze, quando consumato il sogno gli occhi si riaprono bruscamente sulla realtà di un quotidiano agro e stentato. Ci sarà pure una ragione se tante nozze celebrate in pompa magna involvono in divorzi-lampo. Senza dimenticare che il popolo degli invitati è a sua volta stanco di liste nozze, abito-nuovo-obbligatorio e di formule di festeggiamento trite e pacchiane, macinate con lo stampino in un delirio omologante. In definitiva, sarebbe ora di tornare a festeggiamenti sobri, non più volgari. I tempi sono maturi per un’inversione di tendenza che dia il giusto valore alle cose. Il sontuoso evento in corso in Fiera ci pare l’ultimo disperato colpo di coda di un leone morente.
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Pubblicato il 12 Novembre 2011