Rachele Viggiano: quando il teatro fa paura
A breve una targa, nel giardinetto di viale Ennio, ricorderà la figura di una donna. E la ricorderà a un centinaio di metri dal luogo dove ella si spese negli ultimi anni di vita per formare attori. Un anno fa se ne andava Rachele Viggiano, uno dei maggiori talenti prodotti dal nostro teatro. Avantieri sera decine di attori si sono avvicendati sul palco del Nuovo Abeliano per salutare una collega irripetibile. Alcuni l’hanno fatto attraverso il microfono, altri per mezzo di un video-messaggio proiettato su maxi schermo. Tutti per tacito accordo, opportunamente, hanno scansato il prevedibile elogio funebre a beneficio di un ricordo personale, caldo e brioso, quando non fonte di risate. Per quanto mi riguarda ho avuto la fortuna di apprezzare ripetutamente Rachele Viggiano in scena. Vincendo l’imbarazzo della scelta, cavo dal cassetto la volta in cui al vecchio Abeliano andava in scena uno spettacolo assai curioso, una sorta di ‘gioco’ allestito in foyer. Il gioco prevedeva che il pubblico fosse in facoltà di scegliere una scheggia di teatro e di goderne ‘privatamente’. In altri termini, all’interno di piccoli ambienti arredati con due sedie e protetti da un separé, interpreti attendevano lo spettatore per ‘servirgli’ un breve monologo. A me era toccata Rachele Viggiano. Seduta avanti a me, composta, severa, un po’ rigida, lo sguardo ‘appuntito’, questa donna insolita s’immerse subito nel personaggio. Non più di una cinquantina di centimetri ci separavano, sì che potevo percepire il suo profumo, intenderne il respiro nei rari momenti di pausa del lento fluire della parola. Dopo poche battute, espresse in un sussurro denso e ispirato e che aveva il potere di spegnere il brusio circostante, avevo già smarrito le coordinate del mio essere lì : Ero uno spettatore come tanti, un cronista…? No. Ero diventato ‘parte’ di un gioco sottile, intrigante e sottilmente perfido. Risucchiato dal meccanismo, mi accorgevo d’esserne divenuto non già un ingranaggio bensì la sua vittima sacrificale. Rachele diceva e sembrava parlare una lingua remota, dimenticata, incomprensibile, qualcosa di prossimo all’esorcismo, alla formula d’invocazione di chissà quale divinità, all’iniziazione ad un rito segreto… Smarrii la percezione del tempo. Al termine dell’insolita, potente esperienza l’orologio diceva che erano trascorsi sette otto minuti. Ma era stato come un attimo, oppure – e senza differenza – un anno di vita. Ero stordito. Troppo inquieto per dire grazie o fare complimenti, mi levai per andare via, senza nemmeno salutare. Per la prima volta il teatro mi aveva fatto paura… Non ricordo cosa ‘disse’ Rachele, non ricordo il titolo di quello spettacolo, chi l’abbia diretto, né chi altri l’abbia interpretato. Volli rimuovere ?… Conservo soltanto che per sette, otto minuti Rachele Viggiano mi aveva tenuto scostato il sipario non so se sull’Inferno o sul Paradiso.
Italo Interesse
Pubblicato il 29 Aprile 2022