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Raùl Conti, un ‘caso’ unico

Sette anni fa a Pergamino, sua città natale (222 km a nord di Buenos Aires), all’età di 80 anni si spegneva Raùl Conti, uno dei migliori fantasisti che abbiano vestito la casacca biancorossa. Arrivò a Bari trentenne, avendo in precedenza vestito le maglie di Racing Club, River Plate, Monaco, Juventus e Atalanta, e da noi chiuse la carriera, ma quei quattro campionati giocati fra il 1958 e il 1962 (87 presenze e 10 goal) sono rimasti nel cuore di tutti. Conti, che  “calzava la palla come una pantofola” come disse Bruno Roghi, giocava dietro le punte distinguendosi nel dribbling, vezzo nel quale talvolta indulgeva sterilmente. Come molti argentini era un tipo estroso, anche bizzarro. Una volta trovandosi a battere un calcio d’angolo, estirpò dal terreno la bandierina ; redarguito dall’arbitro, ricollocò l’asta al suo posto tra lo spasso della platea. Il nome di Raùl Conti è anche legato ad un episodio curioso, il primo caso di giustizia sportiva gestito con criteri civilistici. In un Bari-Milan del 25 dicembre 1960 (a quei tempi si giocava anche a Pasqua e Capodanno), Conti veniva colpito duramente da Salvadore, difensore rossonero notoriamente arcigno. Ci rimise il menisco, il che gli costò quaranta giorni di stop. A questo punto – fatto inaudito – un noto penalista barese, Aurelio Gironda,  denunciò all’autorità giudiziaria il calciatore del Milan invocando la volontarietà del fallo. Quindici mesi dopo il pretore Giacinto De Marco, dopo aver visionato il filmato della partita e ascoltato l’arbitro di quella gara e i diretti interessati (Conti e Salvadore), giungeva alla conclusione che il fallo era stato involontario. Tuttavia per quanto involontario, il ‘reato sportivo’ poteva a suo avviso essere perseguito dalla legge penale. “Se la legge è uguale per tutti – si leggeva nel dispositivo della sentenza – ciò vale anche sui campi di calcio, specie quando si superano certi limiti”. Salvadore venne così costretto a pagare 50mila lire di risarcimento oltre alle spese processuali. Contro la sentenza la parte soccombente si appellò. Fra rinvii procedurali e l’eterna lentezza della Giustizia italiana, il momento del secondo processo si presentò molto più avanti. Intanto Conti, appese le scarpe al chiodo, era tornato in Argentina, mentre il più giovane Salvadore, passato alla Juventus, aveva iniziato a mietere scudetti divenendo al contempo un pilastro della Nazionale. Acqua passata per tutti. Insomma, nessuna delle parti si presentò davanti al giudice d’appello e tutto si esaurì nel nulla. Una specie di zero a zero. Lo stesso risultato con cui si era chiusa quella partita sventurata. A Raùl Conti è intitolato lo stadio polivalente di Puerto Madryn, una città della Patagonia argentina.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 5 Agosto 2015

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