Cultura e Spettacoli

Resettare l’Italia… dove il pulsante?

Quale ansia questa situazione di non ritorno. Non c’è bisogno delle chiacchiere algide degli ‘analisti’ per realizzare che siamo in trappola. All’uomo della strada glielo dice il cuore, glielo dice il buon senso. E cuore e buon senso sono centrali a ‘Reset’, ultima produzione di ‘Onirica’. Messinscena a contenuto tasso spettacolare, il nuovo lavoro diretto da Vito Latorre ruota intorno al dramma tutto tricolore del contribuente strozzato da Equitalia, dell’elettore preso per il naso, del piccolo (onesto) imprenditore costretto al suicidio. L’evidenza del dramma spegne la parola, tutto svolgendosi come dentro un acquario, come al ralenti. Peraltro la cadenza non è quella del teatro mimico, qui latitando ogni enfasi gestuale. Ma il silenzio in ‘Reset’ è solo parziale. A parte le buone scelte musicali, che si snodano senza interruzioni per una cinquantina di minuti, qui la parola non latita. E’ percepibile sotto forma di voci fuori campo, voci per lo più ben note e che si avvicendano nel disegno di una devastante partitura della menzogna, dell’impudenza e della stupidità (riconoscibili le voci del Cavaliere e di altri mostri della stessa congrega estrapolate da dichiarazioni pubbliche). E risuona di nuovo la parola, questa volta nobilmente, nel testo di ‘Youkali’ scritto nel 1934 da Roger Fernay e poi musicato in forma di tango-habanera da Kurt Weill, dove si parla di un’utopica isola dei Mari del Sud, un luogo di sogno dove fuggire da ciò che l’Europa in quegli anni stava diventando (Youkali / la terra che desideri / la gioia e il piacer son lì. / Youkali  / e ogni pena puoi dimenticar…). Infine ancora la parola in una devastante benché immaginaria lettera d’addio dell’italiano deluso. Il resto è nel gesto eloquente e muto di panzuti direttori di banca, di vestali della BCE, di uomini e donne affamati dai pescecani dell’alta finanza. ‘Reset’ è formale de profundis del Belpaese. Sotto la cenere però scotta spesso la brace. E’ tra le righe il lavoro di Latorre una sorta di chiamata alle armi? vuol essere una secchiata gelida addosso a un popolo che poco più di una settimana fa non aveva in testa altro che i capricci di Balotelli, le invenzioni di Pirlo e le dubbie arrabbiature di Buffon? L’intento didascalico (a volte un po’ troppo scoperto) prevale sulla necessità di fare spettacolo. Priorità giustificabile considerata la gravità del frangente. Undici anni fa Franco Battiato cantava “Povera Patria” (che Latorre fa rientrare nella colonna sonora del suo lavoro). Nella celebre canzone dell’artista siciliano si parla di Italia “schiacciata dagli abusi del potere”, di fango nel quale “affonda lo stivale dei maiali…”. Molto prima del ’91 si parlava di sostituire l’inno di Novaro/Mameli. Il contro-inno di Battiato potrebbe essere una valida alternativa, almeno in attesa di un clima idoneo a partorire un testo opportuno (“ma la primavera tarda ad arrivare”…). Insomma, “Reset” brucia come una staffilata. ‘Chi non sa nuotare affonda’ recita uno dei tanti cinici slogan che affollano la scena disegnata da Rossella Ramunni e che l’Italia della new economy ha elevato a primo comandamento di un decalogo il cui resto non osiamo immaginare. Che vogliono fare gli Italiani?… Toccanti le interpretazioni di Gabriella Altomare, Giancarlo Ceglie e Vito Latorre . – Regia : Vito Latorre ; assistenza alla regia : Antonio Repole ; direttore di scena : Antonello De Toma.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 10 Luglio 2012

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