Primo Piano

Ricorso alla Corte di Strasburgo contro la sospensione dei termini nei processi penali

Un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, spedito a Strasburgo da un giovane avvocato penalista barese e promosso dalla Camera Penale, si fonda sul presupposto che il giovane penalista, Fabio Di Nanna, da poco iscritto all’albo degli avvocati, stava cominciando a raccogliere le prime nomine, ma subito gli é stato impedito di svolgere la propria attività professionale nei processi penali “non urgenti”, sospesi – come è noto – dal Decreto legge governativo del ministro pentastellato della Giustizia, Bonafede, fino al 30 settembre prossimo, per mancanza a Bari  di un Tribunale penale agibile. “La sua – hanno precisato dalla Camera Penale barese – é una situazione simile a quella di tanti giovani avvocati penalisti, costretti a subire uno stop proprio all’inizio dell’attività e quindi a soffrire, da un lato, la perdita di guadagno e di opportunità lavorative e, dall’altro, l’infruttuoso esborso dei costi d’iscrizione alla Cassa previdenziale”. “E’ un altro fronte su cui attaccare l’ingiusto e sconsiderato decreto legge – ha poi spiegato il presidente dei penalisti baresi Gaetano Sassanelli – con cui lo Stato ha pensato di risolvere comodamente l’annosa questione delle criticità edilizie e funzionali dello stabile di via Nazariantz, solo sul piano procedimentale, senza prevedere misure logistico – previdenziali di contrappeso per porre rimedio a quello che é frutto solo della sua insipienza”. “I lavori al Senato – ha continuato il presidente – cominceranno il prossimo 24 luglio e la Camera Penale di Bari si augura di contribuire, con le iniziative adottate, quanto meno alla possibilità di opportuni emendamenti”. Mentre con l’atto di citazione risarcitorio davanti al giudice di pace di Bari per danno ingiusto, i penalisti del capoluogo pugliese, tramite l’avvocato Ascanio Amenduni, hanno eccepito l’illegittimità costituzionale del “decreto Bonafede” ritenendo “ingiusto che tale situazione di sostanziale impedimento dell’attività professionale penale, costituzionalmente garantita nell’interesse dei cittadini, debba ricadere solo sugli avvocati, senza conseguenze risarcitorie a carico del Ministero”. Secondo la tesi dei ricorrenti, “gli altri operatori di giustizia, infatti, continuano a percepire regolarmente lo stipendio statale, mentre gli avvocati non possono avanzare richieste di pagamento ai propri clienti dato il rinvio delle udienze, e devono, per giunta, continuare regolarmente a sostenere i costi di gestione dello studio ed a far fronte, come se nulla fosse accaduto, agli adempimenti verso la loro Cassa Nazionale di Previdenza”. L’avvocato Amenduni ha chiesto anche la condanna sanzionatoria del Ministero della Giustizia per non aver risposto all’invito alla negoziazione assistita obbligatoria, quantificando in mille euro il danno per ciascuna udienza rinviata e altri mille euro per danni morali. In definitiva, la Camera Penale di Bari contesta la legittimità del Decreto ministeriale di slittamento dei termini nei processi penali senza detenuti e contemporaneamente rivendica dallo Stato un “ristoro” per i professionisti che nel periodo di sospensione dei termini non possono incassare la parcella dai propri clienti per le udienze o i processi non celebrati. Una presa di posizione la loro che al momento non è possibile neppure immaginare come finirà, ma che di certo potrebbe non essere un fatto positivo per la categoria, almeno sul piano dell’immagine, qualora le pretese avanzate dovessero poi rivelarsi destituite di fondamento. Comunque è già “qualcosa” che a Bari la categoria forense abbia cominciato a protestare per i problemi legati all’edilizia giudiziaria. Infatti, dopo lustri di silenzio assordante sullo stato delle sedi giudiziarie del capoluogo da parte degli operatori forensi, il fatto che gli avvocati, a ragione od a torto, si stiano facendo sentire nelle sedi e con le Autorità competenti è comunque un dato che fa onore alla categoria ed a chi li rappresenta a livello sindacale o di Ordine professionale. Peccato, però, che gli stessi soggetti rappresentativi dell’Avvocatura cittadina in precedenza abbia fatto poco o nulla contro lo stato di degrado e trascuratezza in cui venivano tenuti i palassi simbolo della Giustizia a Bari. Vale a dire il Palagiustizia di piazza Enrico De Nicola, dove tuttora ci sono finanche corridoi ed aule che forse non vengono tinteggiati da quando l’edificio è stato realizzato nell’ormai lontano 1967, e quello di via Nazariantz, recentemente dichiarato inagibile, perché a rischio crollo. Ma c’è di più. Nel Palazzo di piazza De Nicola persino i vetri e gli infissi delle finestre di alcune aule d’udienza (quotidianamente frequentate da molti degli stessi professionisti che ora protestano per la sospensione temporanea dei termini e vorrebbero essere risarciti dallo Stato) sono ricoperti di polvere perché non lavati forse da anni, ma di ciò nessuno stranamente ne parla. Così come nessuno paradossalmente si ricorda di “chiamare” in causa i primi e veri responsabili dei “disastri” dell’edilizia giudiziaria barese e delle reiterate mancate manutenzioni ordinarie e straordinarie degli edifici in questione, a cominciare dalle pulizie alquanto carenti degli stessi ambienti. Pertanto, alla collettività cittadina  non resta che augurarsi che, dopo anni di imperdonabili silenzi, chi a Bari dovrebbe avere “a cuore” anche la dignità delle sedi di amministrazione della Giustizia, e non solo i tornaconti individuali, si sia finalmente “svegliato” e faccia sentire alta e forte l’indignazione della categoria forense, per ciò che è accaduto e tuttora accade sullo stato di tenuta ordinaria e straordinaria dei Tribunali cittadini. E ciò, possibilmente, senza guardare in faccia al colore politico di che ha avuto in passato ed ha ora, in primis, la responsabilità gestionale degli immobili giudiziari.

 

Giuseppe Palella


Pubblicato il 21 Luglio 2018

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio