“Ristagno di acque morte e di alghe imputridite”
Il 29 aprile di 166 anni fa si spegneva a Carovigno, dove era nato il 10 novembre 1788, Vincenzo Andriani, medico e studioso di storia, archeologia, numismatica ed epigrafia. Una delle sue opere più importanti, ‘Sull’aria di Brindisi’, pubblicata a Napoli nel 1827, ha per oggetto la pessima qualità dell’aria che in passato intossicava quella città. Questo tema era già stato affrontato da Johann Hermann, barone di Riedesel e grande amico del Winckelmann, un viaggiatore tedesco che nel 1767 visitò la Puglia : “L’aria di Brindisi è malsana durante tutto l’anno, ma nell’estate specialmente è la più dannosa di tutta l’Italia e la guarnigione che si muta ogni tre anni vi lascia la metà dei suoi uomini”. In ‘Storia generale della Sicilia’di A.F.Ferrara, un testo edito nel 1831, si legge che la sesta crociata, quella promossa da Federico II fra il 1228 e il 1229 ebbe un pessimo avvio a causa dello stesso motivo : “Brindisi… allora circondata da putride paludi era un soggiorno il più malsano nei calori estivi. L’aria pestifera sparse fra gli eserciti ivi raccolti molte terribili malattie. La morte portando la falce sopra i campioni crocesegnati gettò un immenso numero di essi nel sepolcro… Federico stesso fu gravemente assalito… Giunsero a Otranto il terzo giorno dopo la partenza. Molti degli ammalati andarono miseramente a morire tra le selve e nelle diverse campagne”. Retrocedendo ancora, troviamo conferma di questo stato di cose nelle parole di Giulio Cesare : Nei ‘Commentarii de bello Civili’, opera che illustra il periodo compreso tra il 48 e il 47 a.C. si legge che “nel territorio di Brindisi… l’aria è assai cattiva e malsana…”. Quali le ragioni di tanto degrado? Scrive Andriani : “L’estremità del porto interno divengono due stagni di mare morto e, peggio, due micidiali depositi sempre più crescenti di masse d’alghe pestifere, imputridite sotto i calori del sole e l’umido somministrato dall’acqua”. L’Autore aggiunge che già nel XIII secolo si era provato a risolvere il problema collegando con un canale artificiale i due ‘seni’ in cui si biforca l’imboccatura del porto : “Carlo II D’Angiò… lo fece più profondare ed ampliare affinché le acque vi fluissero meglio e più liberamente e perché si rendesse più navigabile”. Ma l’opera, prima rovinata dal Principe di Taranto per opporsi ad Alfonso D’Aragona, poi “ristorata” dagli Aragonesi, infine danneggiata nuovamente dai Veneziani “cadde abbandonata alle catastrofi della natura… Il canale, distinto col nome di Angioino, qua e là affogato di sabbie, divenuto in più parti un formidabile ristagno di acque morte e di alghe imputridite, appestò l’aria di micidiali esalazioni ; dal che derivò che la città, tribolata da sempre rinascenti epidemie, nel 1774 contava appena cinquemila abitanti”. Si dovette attendere l’avvento sul trono di Napoli di Ferdinando di Borbone perché il problema venisse risolto definitivamente. Per effetto della costruzione di un nuovo canale, detto Borbonico o Pigonati dal nome di chi lo progettò, “la città risorse come a nuova vita e per l’aria purgata e pel commercio già riaperto”.
Italo Interesse
Pubblicato il 29 Aprile 2017