Cultura e Spettacoli

Romeo e Giulietta, fioretti e revolver

Ci risiamo. Si presta l’idioma nostrano alla poesia? Dipende dal respiro del verso. Se questo attiene a una dimensione casareccia e quieta (prendi un De Fano), il nostro dialetto svela una musicalità anche gaia. Se invece la cifra poetica si fa alta (Shakespeare, per esempio), ecco la lingua barese mostrare tutti i suoi limiti. Voltare un Romeo e Giulietta in barese è operazione improduttiva, specie se ci si limita a  tradurre il testo invece di mediare creativamente tra differenti registri espressivi (non tutti si chiamano Gaetano Savelli). Il risultato è che dialoghi da balcone e lamenti funebri suonano spenti, innaturali, mentre le frizioni verbali tra famiglie rivali  perdono ogni eco nobile a favore di un’asprezza insostenibile. E il tragico amore dei due sventurati e giovanissimi veronesi trascende in sceneggiata. Ci si aspettava di più da questo  ‘Giugliett’e Romè’ de La Diffèrance, spettacolo inserito non abbiamo capito a che titolo in Maggio All’Infanzia e portato venerdì scorso in scena al Nuovo Abeliano. Francesco Brollo adotta una formula ibrida : cinema/azione scenica. La piattezza di quest’ultima fa risaltare la migliore qualità del primo elemento. A queste condizioni meglio sarebbe stato fare un film (ma con l’accortezza di non ‘piveggiare’, ovvero scansando orecchiette e polpi battuti, gomme che stridono, lampeggiatori che accecano e rivoltelle impugnate a due mani). Ripetutamente in passato abbiamo ribadito la necessità di raccontare Bari fuggendo lo stereotipo malavitoso. Non c’è verso di riuscirvi. Possibile che solo il connubio rancore-sangue assicuri visibilità e ‘vendibilità’? La carenza di autori si fa sentire. Una carenza che si spiega considerando che Bari, non essendo Napoli, non ha mai avuto – né mai avrà, almeno a breve  – un De Filippo, un Marotta, un De Sica. Ha… quello che ha. Anche in campo culturale paga il dazio di una storia ‘difettosa’. Non è la nostra una città cresciuta gradatamente. Da vivace emporio commerciale, appena duecento anni fa si ritrovò bruscamente adulta. Si può dire che non abbia ancora metabolizzato questo choc da crescita. Rimasta in bilico tra richiami paesani e sogni metropolitani, Bari resta la grande incompiuta. Serve tempo perché una Storia ‘nuova’ si sedimenti, conditio sine qua non per dare vita a rappresentanti di una cultura originale e autoctona, non più subalterna. E allora finalmente smetteremo di aggrapparci al peggio (la ‘mala’, il saccheggio dei Maestri) per raccontare un popolo non più in crisi d’identità. Un popolo che al presente non può riconoscersi nemmeno nella propria lingua, idioma imbastardito e che tensioni sociali hanno reso particolarmente roco e tagliente, strumento d’espressione più di un malessere generalizzato che di un sentimento lieto e aperto alla speranza.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 21 Maggio 2013

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