Cronaca

Salsa. L’industria soffoca il fai-da-te

La passata di pomodoro fatta in casa, ecco un’altra tradizione che si va perdendo. Il disamore delle nuove generazioni verso ciò che sa d’artigianale e arcaico sta facendo il gioco della grande industria. E siccome da noi la produzione di questo frutto è larghissima, i giovani preferiscono il bricco in offerta speciale a quello che chiamano ‘un fastidio’. Eppure c’è stato un tempo in cui questo ‘fastidio’ costituiva un rituale  domestico, uno di quegli appuntamenti famigliari da cui non si poteva prescindere, come l’allestimento del presepe o le pulizie di Pasqua. Appena a luglio le bancarelle dei mercati rionali cominciavano a rigurgitare dei pomodori ‘giusti’ (i San Marzano su tutti), in casa cominciavano le grandi manovre. Prima cosa : rinnovare il ‘parco bottiglie’ (quelle di birra da un terzo erano le più gettonate) ; il che significava bollirle ed asciugarle. Poi toccava verificare lo stato di salute del passa-legumi-verdura ; ma in commercio esistevano ben più efficaci  passa-pomodori, nonché un altro macchinario – anch’esso a movimento manuale – per mezzo del quale si chiudevano ermeticamente le bottiglie. Che affari per gli empori ‘dei casalinghi’ dove trovare guarnizioni, pezzi di ricambio, mestoli, tinozze in plastica in cui lavare i pomodori, pentole, pentoloni… A organizzarsi erano anche più famiglie. Il fatto di non disporre di locali spaziosi ed areati costringeva molta povera gente ad ‘appoggiarsi’ a casa d’altri. Sicché il rituale della salsa evolveva pure in occasione per rinsaldare legami parentali, amicali e di vicinato. Imponenti le quantità di pomodoro movimentate, stimando la necessità annua pro capite in una quindicina di chili di merce (da cui estrarre massimo cinque chili di passata). Quanto allo svolgimento delle operazioni, si cercava di dare corso alla ‘grande opera’nel corso di una sola giornata. Per cui, avuta cura 24 ore prima di approntare i locali prescelti e di lavare i pomodori scartando quelli troppo maturi, si procedeva a primo mattino alla bollitura. Si diffondeva allora un odore caratteristico nel raggio di una ventina di metri, segnale inequivocabile che ‘làì ci si stava provvedendo a ‘fari i pomodori’, espressione idiomatica che tra il popolino aveva pure altro e malizioso significato. Si arrivava a sera stremati. Perché fare i pomodori’ voleva dire stare dodici ore in mezzo al pericolo degli schizzi, delle ustioni o delle bottiglie che poteva scoppiare, immersi in una temperatura vicino ai quaranta gradi. E guai a distrarsi, a non rispettare tempi e metodologia (le scuole di pensiero in materia erano numerose) dettati dal ‘direttore dei lavori’, generalmente l’anziana della situazione, la nonna o la vecchia zia nubile, insomma una donna di provata esperienza, gelosa dei propri segreti. Una fatica, però, sempre ben ricompensata. Vuoi mettere la salsa fatta in casa con quella preparata dell’industria? Però i nostri padri erano ancora più intransigenti : Mai disonorare l’impagabile passata domestica con volgare pasta industriale. Dunque, pure spaghetti e maccheroni andavano fatti a mano…. Ma questa è veramente un’altra storia.
italointeresse@alice.it
 
 
 
 
 
 
 


Pubblicato il 20 Luglio 2011

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