“Salvate quella tomba”
Dopo l’annuncio di ieri – in esclusiva sul Quotidiano di Bari – del ritrovamento archeologico dei resti di un bambino vissuto circa duemila e duecento anni or sono e del suo corredo funerario, ritorniamo da Ceglie del Campo (luogo della scoperta) con le ultime rivelazioni della Sovrintendenza ai Beni Archeologici e le sconcertanti dichiarazioni della ditta che esegue i lavori di scavo, la stessa incaricata di effettuare la manutenzione della rete idrica, durante i cui scavi erano stati rinvenuti i reperti. I responsabili della sovrintendenza, però, non confermano ufficialmente la notizia del ritrovamento « Temiamo che una conferma ufficiale possa attirare dei predatori di antichità »; preoccupazione che a noi sembra infondata in quanto, secondo indiscrezioni, tutti i reperti sarebbero stati portati già al sicuro dagli archeologi. Solo pochi resti della pavimentazione di una casa risalente al secondo secolo avanti cristo (probabilmente la stessa appartenete alla famiglia del bambino ritrovato), sarebbe ancora presente sul luogo del ritrovamento. Le mattonelle circondano un foro nel suolo che – come spiega la responsabile della Sovrintendenza ai Beni Archeologici, Dott.sa Ada Riccardi – serviva in passato da “vasca” per l’acqua piovana: segno di un antico sistema di canali per raccogliere l’acqua destinata all’utilizzo domestico. Se la competenza scientifica è stata fornita dagli archeologi della sovrintendenza – i collaboratori Dott. Galeandro e Dott. Sapone – gli scavi non sono stati effettuati dagli stessi (come si sarebbe portati a credere), bensì dagli operai della ditta subappaltatrice, Impresa Marino, la stessa incaricata di effettuare le opere di manutenzione dei tubi dell’acquedotto durante i cui scavi sono stati rinvenuti i reperti. Delicate procedure di scavo, che dovrebbero essere eseguite con cura per non danneggiare i reperti, non sono affidate a mani esperte, bensì agli stessi operai che avevano fatto lo scavo per la manutenzione dei tubi per l’acqua. « Fosse solo questo, saremmo a cavallo! – confessa un operaio – La verità è che noi dobbiamo prenderci tutta la responsabilità delle operazioni di scavo. Gli archeologi ci guardano e coordinano, ma se rompiamo qualcosa la colpa è nostra ». Le dichiarazioni sconcertanti degli addetti ai lavori non finiscono qui. « Tutti gli utensili che utilizziamo per riportare alla luce i reperti archeologici, comprese le casse dove vengono riposti i resti, non sono forniti dalla sovrintendenza, ma sono della ditta (un paio di casse sono state addirittura fornite da un abitante del luogo ndr). Per scavare i reperti antichi, poi, usiamo gli stessi arnesi che si usano per riparare i tubi dell’acqua ». « Per evitare questo “fastidio” e per non ritardare i lavori – continua l’operaio – quando troviamo qualche reperto archeologico, non avvisiamo nessuno e “tiriamo avanti” col lavoro. A cosa serve riportare alla luce tutte queste antichità – confessa con rammarico – quando poi dobbiamo seppellirle di nuovo e nessuno potrà mai vederle? ». Parole dure ma sincere, che riflettono la realtà dei fatti: se sul posto, al momento degli scavi, non ci fossero stati gli addetti della soprintendenza, probabilmente la tomba del bambino non sarebbe mai stata rinvenuta. Ora, però, verrà ricoperta con della terra, proprio come ha detto l’operaio, e su di essa verrà ripristinato il tratto di strada precedentemente rotto: niente lastra di vetro per mostrare i reperti, niente museo all’aperto, niente visite di turisti e scolaresche; niente di niente! Ai cittadini di Ceglie non è dato conoscere nulla sui tesori che il sottosuolo dove vivono cela. Gli sguardi curiosi della gente e domande legittime come: « Ma che cosa c’è là sotto? È vero che c’era un bambino? È vero che avete trovato vasi e utensili di migliaia di anni fa? », vengono evitate con arrogante noncuranza da parte degli archeologi della sovrintendenza. « Mi raccomando a cosa scrivi su di noi quando fai l’articolo… non è che parli male della Soprintendenza, vero! », intimano. Io scrivo solo ciò che vedo… E ciò che sento. « Sono solo diffamazioni! », tuona la Dott.sa Riccardi quando le racconto le “voci” che girano sulla soprintendenza a Ceglie del Campo. « Noi non prendiamo mazzette per “chiudere un occhio” quando i costruttori privati realizzano case e palazzi. Lavoriamo sodo, noi, anche se non riceviamo quasi più fondi e siamo in perenne carenza di personale. Non abbiamo addetti necessari a tutelare le ricchezze del territorio! – poi con rammarico afferma – Noi della Soprintendenza, ormai, siamo una razza in “via d’estinzione”… ». Estinzione o meno, resta il fatto che se noi del Quotidiano non ci fossimo interessati, la scoperta del ritrovamento della tomba del bambino sarebbe rimasta nell’oscurità. « La notizia del ritrovamento sarà pubblicata sulla rivista “Taras”, è la rivista della Soprintendenza, la trovi all’Ateneo di Bari o se vuoi puoi comprarla, costa 50 euro… », taglia corto un archeologo. Un prezzo accessibile a tutti, soprattutto al Cegliese medio che si accontenta di poco più di mille euro al mese (quando ha un lavoro). Ho capito, gli archeologi vogliono tenere per loro la scoperta: chissà che il loro nome sulle pubblicazioni di archeologia non porti loro nuove opportunità di lavoro, di fare ricerca per qualche università, di fare carriera. Prima di lasciarli, però, mi concedo un’altra domanda. « Avete sentito parlare dei cocci di vasi antichi ritrovati nei muri a secco? (A Ceglie ritrovare cocci di vasi antichi per le campagne è normale amministrazione ndr) Si dice siano stati lasciati dai predatori di antichità: i vasi integri finivano sul mercato, quelli rotti nei muri ». « Si, lo sappiamo… alcune mura venivano edificate dagli stessi contadini: non capivano il valore dei vasi. Noi però non possiamo farci niente; non abbiamo intenzione di recuperarli: sono rotti… ». Pensavo che i cocci si potessero mettere assieme: ne ho visti tanti di vasi ricostruiti, nei musei; ma a quanto pare quelli della Soprintendenza ne sanno più di me. Meglio lasciar perdere… « Sembra una barzelletta – ironizza Gaetano Di Monte, esperto del territorio e della storia di Ceglie – prima si scava e poi si richiude tutto come se niente fosse. Invece di esporre al pubblico i ritrovamenti, si ricoprono con la terra e si costruisce sopra una strada ». A quanto pare qualcuno crede che la Storia non appartenga al popolo…
Mirko Misceo
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Pubblicato il 13 Maggio 2011