‘Saraceno’, montagna e collina
I casi di omonimia in toponomastica non sono rari. In Puglia, per esempio, due monti hanno lo stesso nome. Per meglio dire, delle due vette, una dovrebbe essere classificata come collina dal momento che la sua cima arriva ad appena 230 metri, mentre l’altra tocca i 1145 (secondo una consolidata convenzione, nelle rappresentazioni cartografiche si usa mappare come colline i rilievi inferiori a 675 m.). La prima si affaccia sull’Adriatico ed è collocata nel territorio di Mattinata, la seconda fa parte dei monti della Daunia, la modesta catena montuosa estesa lungo l’orlo orientale dell’Appennino campano. Il Monte Saraceno del Gargano ha un passato e deve il suo nome alla colonia saracena che intorno al Mille si insediò sulla sua cima. Il Monte saraceno del Subappennino Dauno, invece, è estraneo alla Storia; il suo nome sembra la conseguenza del capriccio di un cartografo a corto di fantasia e memoria. Non resta dunque che occuparci di quella collina che si fregia del ‘titolo’ di monte. Quello di Monte Saraceno è sito particolarmente ricco sul piano botanico e su quello archeologico: 223 ettari dominati dal pino d’Aleppo avvolgono gli avanzi di Matinum, un insediamento dauno risalente al V secolo avanti Cristo. La bellezza della pineta è tale che Monte Saraceno è stato classificato come sito di importanza comunitaria. Dei resti dell’antica città la testimonianza più emozionante consiste nella necropoli: cinquecento cavità scavate con rigore geometrico nel manto roccioso. Si tratta di sepolture che hanno restituito moltissimo materiale archeologico, oggi conservato nel Museo Civico di Mattinata. Questo alternarsi di abitazioni, sepolture e luoghi di culto fa di Monte Saraceno un sito ‘anomalo’, nel senso che esso fungeva al contempo da insediamento, da necropoli e da santuario. Ciò suggerisce l’idea di una comunità piuttosto piccola, compattata da legami famigliari, votata all’autosufficienza e ostinatamente chiusa in sé stessa. Pago dei proventi dell’agricoltura, della caccia e della pesca, l’antico popolo di Matinum non doveva essere ospitale. Di contro si fa fatica a immaginare questo popolo insidioso per le genti vicine. Come spiegare questa natura schiva? I Matini erano una delle tante tribù dei Dauni (a loro volta appartenenti alla gente Japigia, d’origine euroasiatica) che in tempi remotissimi sbarcarono sul promontorio garganico. Ma a differenza degli altri clan, i quali appena giunti da noi si mostrarono curiosi del territorio e perciò ebbero inizialmente comportamento nomade prima d’ibridarsi con gli indigeni e diventare stanziali, i Matini divennero stanziali molto prima, praticamente già al loro arrivo. Certo, il sito che avevano trovato era dei migliori, ma tanta sollecitudine nel mettere radici alimenta un sospetto : era quella dei Matini una tribù invisa alle altre daune, un popolo maledetto, consanguinei esecrati per qualche ragione destinata a restare sconosciuta? Nel mondo antico non ci voleva molto a passare per impuri o traditori, bastava saltare un rituale o allacciare rapporti di sangue con stranieri tradizionalmente ostili per guadagnarsi la riprovazione collettiva. Chissà di quale colpa i Matini si macchiarono agli occhi dei fratelli Dauni. Forse l’isolamento nel quale si chiusero fu il prezzo da pagare per sopravvivere alla vergogna o alla minaccia di una vendetta.
Italo Interesse
Pubblicato il 17 Gennaio 2019