Cultura e Spettacoli

Scemo di guerra, non di paese

Scemo di guerra… Con questo appellativo irrispettoso quanti durante la Grande Guerra non avevano conosciuto il fronte davano la baia ai reduci di quella carneficina che, conservata la pelle, avevano smarrito la ragione. E’ facile ridere di chi, con la mente devastata da anni di  bombe, decimazioni, fame, pidocchi e freddo, vaga per strada o staziona in piazza dando sfogo pittoresco a una devastazione per cui gli aggettivi non bastano. Difficile è invece provare a dare ascolto – e riconoscere rispetto – a ragioni seppure oscuramente espresse. Il dramma (senza tempo) di unità di carne da cannone scampate al massacro non è tanto la fatica di scacciare fantasmi quanto il realizzare nel prossimo la non volontà d’ascolto, questa smania ipocrita di cancellare dalla memoria collettiva tragedie epocali. Nelle lacrime, nelle urla e nelle stravaganze di questi poveracci vibrava proprio questa impotenza di partecipare a tutti una lezione di vita, un monito. Non avendo potuto attingere personalmente a testimonianze di questo spessore, Francesco Suriano prova a inventarsene una. Quella di ‘Rocco u Stortu’ è logorrea-sfogo di colore calabrese di cui Fulvio Cauteruccio si appropria per farne oggetto di un intenso allestimento. Grandi applausi mercoledì scorso al Nuovo Abeliano per questo ‘Roccu u Stortu’ messo in scena da Teatro Studio Krypton. Lacero, in mutande, Roccu sembra appena scappato da una trincea, che la riproduzione di un semplice terrapieno evoca. Ora smarrito, lamentoso e tenero, ora improvvisamente greve e rancoroso, il povero fantaccino evoca a modo suo giorni che neanche una lobotomia può cancellare. All’uso d’un arruffapopoli disfattista, il Nostro dice e dà spettacolo. Sala in cima al terrapieno, scende a nascondersi, riemerge il necessario per raccontare i boati sollevando nuvole di polvere. Poi abbandona i riflettori e si inoltra nell’oscurità della platea ad agitare una sinistra croce luminosa. Alle sue spalle un maxi schermo manda immagini mute tratte da documentari e film. Immagini che trovano voce in un calabrese stretto e sapidissimo, urlato con rancore per oltre cinquanta minuti. ‘Roccu u Stortu’ è J’Accuse, è ruvida requisitoria contro l’ordine militare, contro i Savoia, contro il grande capitale guerrafondaio. Fulvio Cauteruccio non si risparmia regalando qua e là momenti importanti. Nell’insieme, un allestimento ben riuscito, posto in apertura di  ‘Il peso della farfalla’, progetto a cura di Clarissa Veronico in collaborazione con l’Università di Bari.

Italo Interesse


Pubblicato il 20 Ottobre 2012

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