Sciascia : monito ed epitaffio
Il successo che ‘A ciascuno il suo’ incontrò in libreria nel 1966, nonché l’indiscusso valore letterario e sociale dell’opera di Sciascia indussero l’anno dopo Elio Petri a girare l’omonimo film. Fu un film memorabile. A parte alcune perplessità in ordine a certa tecnica di ripresa, la pellicola meritò ampi consensi critici, vuoi per le interpretazioni di Gian Maria Volontè, Irene Papas, Salvo Randone e Gabriele Ferzetti, vuoi per l’efficacia della sceneggiatura, firmata dallo stesso Petri e Ugo Pirro. Nella circostanza si gridò al miracolo, non sempre riuscendo di prendere un romanzo (scritto senza pensare a ‘prolunghe’ cinematografiche) e riprodurlo fedelmente sul grande schermo. Il miracolo di quasi mezzo secolo fa si è ripetuto. Nessun remake questa volta, bensì una trasposizione teatrale ad opera di Gaetano Aronica. Quanti applausi sabato scorso al Traetta, dove quella trasposizione è andata in scena allestita da Laros, per la regia di Fabrizio Catalano. Applausi così calorosi che al termine Sebastiano Somma, il protagonista, si è sentito di avanzare in proscenio per ringraziare la folla bitontina. Consensi meritati. Questo ‘A ciascuno il suo’ ha il pregio di prendere immediatamente lo spettatore. Un cast eccellente e una regia attenta a gestire un intenso ‘traffico ‘ di attori (dieci interpreti è nel teatro di oggi folla biblica) possono molto. Tuttavia ancora di più può un adattamento appassionato che piega le cose alle tiranniche esigenze dell’arte scenica senza snaturare alcunché, senza scadere nell’arbitrio. ‘Fedeltà’, insomma, come nel film di Petri, al più con fantasia adeguata, ovvero tale da non dispiacere allo scomparso Maestro siciliano. Ora, se Aronica è stato altrettanto e ‘diversamente’ bravo che Petri e Pirro, cosa se ne può concludere? Che ‘A ciascuno il suo’ è un capolavoro di tecnica della scrittura. E qui lo stile entra relativamente. E’ piuttosto una questione di ingredienti e di giusto trattamento. Viene da pensare che quest’opera sia nata col dono di potersi sfilare i panni letterari e assumere quelli di differenti espressioni artistiche. Per cui non meraviglierebbe se dovesse felicemente ispirare anche coreografi, pittori e scultori. Non basta. Il gran lavoro di Aronica sembra dimostrare che è il teatro il vero habitat di questa storia. In fondo in ‘A ciascuno il suo’ l’idea di Sciascia, che trova prima anticipazione ne ‘Il giorno della civetta’ e poi conferma in ‘Todo modo’, è quella di un teatro di ominicchi il cui puparo non è il padre dei padrini bensì una dannosa Entità sovrastante e inafferrabile, connaturata al territorio : una mentalità distorta in fatto di comando ed obbedienza. Sicché, poter scorgere in viso a uomini sentimenti come sgomento, fatalismo, viltà e doppiezza rende più materica la sensazione di impotenza dinanzi alla forza di un ‘sentire’ discreto e mimetico che, inesorabile, intride carne e pensiero, persino le cose. E considerare che lo stesso malato sentire, negli anni sessanta endemico solo del Mezzogiorno, è oggi disvalore nazionale sembra evidenziare il carattere profetico di quel romanzo. In definitiva, nessuna operazione datata, nessun omaggio postumo a un grande intellettuale. Questo ‘A ciascuno il suo’ è tra le righe monito che ci si augura non involva in epitaffio.
Italo Interesse
Pubblicato il 12 Febbraio 2014