Cultura e Spettacoli

Se le cavalline parlassero…

Ricorre oggi il 116° anniversario della nascita di Giovanni Pascoli, figura eminente della letteratura italiana di fine Ottocento. Il colore decadente della sua poesia viene fatto risalire alla nota tragedia famigliare: il 10 agosto 1867 Ruggero Pascoli stava tornando a casa da Cesena quando, all’altezza di San Giovanni in Compito, presso Savignano, venne ucciso con una fucilata. Chi e perché uccise Ruggero Pascoli? L’insoluto delitto va considerato alla luce del contesto sociopolitico della Romagna post-unitaria, terra attraversata da un fortissimo sentimento ostile al nuovo ordine sabaudo e perciò difficile da amministrare, anche sotto il profilo dell’ordine pubblico (in alcune contrade imperversava ancora il brigantaggio). Nello stesso periodo in cui moriva il Pascoli, facevano la stessa fine altri fattori e possidenti e con le stesse modalità da criminalità organizzata. A distanza di molti anni dalla perdita del padre, Giovanni Pascoli prese l’abitudine ogni 10 agosto di inviare un biglietto listato a lutto sul quale era scritto solo “p.r.” (per ricordare) a Pietro Cacciaguerra, potente signorotto locale, che alla morte di Ruggero Pascoli gli era subentrato nell’ambita carica di amministratore della tenuta La Torre, dei principi Torlonia. Giovanni sosteneva – e i più condividevano l’idea – che il Cacciaguerra, interessato ad arricchirsi ulteriormente gestendo i beni della famiglia Torlonia, fosse la mente di quel delitto, materialmente realizzato da due criminali comuni: Luigi Pagliarani e Michele Della Rocca. Due dei tanti tipacci di cui il movimento repubblicano si serviva per i suoi fini e che il Cacciaguerra dovette subornare facendo passare ai loro occhi il Pascoli come un servo dei padroni e un traditore (Ruggero Pascoli – che presso il municipio di San Mauro di Romagna ebbe una breve esperienza politica in qualità ora di consigliere, ora di assessore dal 1861 al giorno della sua scomparsa – da essere inizialmente esponente repubblicano, si era schierato con i liberali, probabilmente come condizione per diventare amministratore dei Torlonia). Il caso, che diede vita a tre processi, venne archiviato dalla magistratura come “commesso da ignoti” (in uno di questi processi due altri imputati, Raffaele Dellamotta e Michele Sacchini, dipendenti di casa Torlonia, accusati di essere sicari di un ignoto mandante, furono condannati in primo grado e in seguito assolti). Ma a Savignano e dintorni il clima era omertoso: tutti sapevano chi fosse la mente dell’omicidio Pascoli e tutti tacevano per complicità o paura. Rientrato dal Sudamerica, dove aveva fatto fortuna, il Cacciaguerra si era dato da fare a consolidare la propria posizione acquistando immobili e spadroneggiando in quello che riteneva il proprio territorio sino al punto da far paura allo stesso principe Torlonia. Un boss, né più, né meno. Per sottomettere i comunque potentissimi Torlonia, Cacciaguerra non aveva che una strada: diventarne amministratore di famiglia. Probabilmente propose al Pascoli una ‘buonuscita’ perché si facesse da parte; proposta accompagnata da una minaccia. Ma il buon Ruggero, uomo integerrimo, non volle cedere al ricatto. Il resto è una “cavallina storna /che porta colui che non ritorna”

 

Italo Interesse

 


Pubblicato il 31 Dicembre 2021

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