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Sede unica della giustizia: le domande ‘tabù’ al Ministro Bonafede

Non ci sarebbe nemmeno più da scandalizzarsi se ancora oggi c’è qualcuno che a Bari finge di non sapere come stanno i fatti in tema di “sede unica della Giustizia”, magari tentando di intorbidire una vicenda che, pur tuttavia, si fonda su alcuni temi indiscussi. Ad esempio, l’inspiegabile giravolta di un ex magistrato che, prima e durante la sua candidatura a sindaco, era favorevolissimo alla proposta della Cittadella della Giustizia nei pressi della Masseria Lamberti / Stadio S. Nicola. Ma poi, una volta eletto sindaco di Bari, cambiò radicalmente idea ed ebbe la faccia tosta di non giustificare tale giravolta, se non con giravolte cripto-ambientaliste. <<Nacque così un contenzioso che si svolse in tutti i gradi della giustizia ordinaria, di quella amministrativa e persino di quella comunitaria. E forse è bene precisare che lo Stato (e per esso il Ministero della Giustizia) si è sempre costituito a favore della proposta Pizzarotti e contro il Comune di Bari. In sintesi detto contenzioso si è concluso con la sentenza del Consiglio di Stato (Adunanza Plenaria) n. 11/2016 del 09/06/2016, passata in giudicato a seguito della sentenza della Suprema Corte di Cassazione – Sezioni Unite Civili n.21621/2017 del 19/09/2017. In particolare, questa sentenza dell’Adunanza Plenaria n.11/2016 ha stabilito che la soluzione contrattuale individuata dal Commissario “ad acta” nell’anno 2011 ( consistente in un “Contratto di locazione semplice di cosa futura con allegato quadro esigenziale ” ) non era in linea con le direttive comunitarie e, pertanto, non poteva consentire di giungere al contratto con l’impresa>>, rammenta ancora l’avvocato Ettore Bucciero, già Senatore della Repubblica Italiana, archivista storico e ben informato su tutte le procedure che hanno interessato la sede unica della giustizia a Bari. Lui ricorda ancora bene che l’impresa di Paolo Pizzarotti da Parma, dopo che la citata sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 11/2016 era passata in giudicato, inviò al Ministero della Giustizia la nota prot. PZ/UPRE/0057118/2017 del 16/10/2017, con cui, nel ribadire l’esistenza dell’  “obbligo procedimentale” in capo all’Amministrazione (così confermato dalle citate sentenze della Plenaria n. 11/2016 e delle Sezioni Unite n. 21621/2017), chiedeva che lo stesso Ministero individuasse e comunicasse la “nuova soluzione contrattuale”, rispondente, questa volta, al Diritto Nazionale e Comunitario. Ebbene, allo stesso tempo, Pizzarotti presentava dinanzi alla Commissione Europea e dinanzi al Parlamento dell’Unione, “l’Esposto” del 08/11/2017, con cui chiedeva che le Autorità Comunitarie assumessero iniziative nei confronti dello Stato Italiano, in relazione alla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 11/2016, che aveva disconosciuto il diritto della stessa Impresa a sottoscrivere il contratto di specie, nonostante tale diritto fosse stato già sancito da precedenti sentenze di ottemperanza emesse dal medesimo Giudice del Consiglio di Stato (in particolare dalla sentenza n. 8420/2010). Esposto dichiarato “ricevibile” dal Parlamento dell’Unione (Commissione per le Petizioni), per cui è conseguita, in sede comunitaria, una lunga procedura, culminata nel “Parere” conclusivo della Commissione Europea, espresso con lettera prot. CM 1163643 del 21/09/2018: “….omissis…..opportuno ricordare, infine, che la sentenza del tribunale italiano (1) non comporta l’esclusione “dell’operatore economico (Pizzarotti) in questione da un appalto pubblico stipulato validamente, né impedisce “la sua partecipazione a future procedure di aggiudicazione regolari. Non vieta, inoltre, alle autorità italiane di avviare il progetto……. omissis ….Le autorità italiane hanno facoltà, qualora lo desiderassero, di procedere immediatamente e “rapidamente ad un nuovo lancio del progetto……” E così, in seguito a questo “Parere” della Commissione Europea, l’impresa Pizzarotti, per il tramite del proprio legale, ha chiesto che lo stesso Ministero di Grazia e Giustizia proseguisse nel “Procedimento” di specie, individuando e comunicando una  “nuova soluzione contrattuale”, rispondente all’Ordinamento Nazionale e Comunitario. Successivamente la Commissione per le Petizioni del Parlamento dell’Unione ha comunicato all’impresa di aver chiuso il procedimento, confermando “in toto” il precedente “Parere” e confermando, quindi, “in toto” la piena “percorribilità” del “Procedimento Pizzarotti”. La conclusione pertanto è che tutte le sentenze “non impediscono” allo Stato di andare avanti nel procedimento con tutte le formule contrattuali rispondenti al diritto comunitario. Infine, alcune domande. E cioè, data la grave situazione degli Uffici Giudiziari, perché il Ministero della Giustizia tace? E seppure a via Arenula avessero in animo altre soluzioni che non siano quelle della proposta Pizzarotti, con quali soldi si intenderebbe realizzarle? Il Ministero sa che per l’opera in questione verrebbero impiegati circa 3mila tra operai e tecnici e che la parte del “penale” verrebbe realizzata in soli quindici mesi e il resto in trenta? Il Ministero sa che oltre 3mila avvocati baresi hanno firmato una petizione per ottenere un palazzo fuori centro urbano, onde le migliaia di avvocati non baresi (da Foggia a Monopoli) possano accedere facilmente e non “impazzire” nel girare nel difficile rione “Libertà”? Che rebus….

 

Francesco De Martino


Pubblicato il 25 Aprile 2019

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