Primo Piano

Sempre più affari e intrighi al Tar Puglia

In tutta fretta, fissando udienze una dietro l’altra e pubblicando sentenze e decreti di proscioglimento a valanga, i giudici baresi si sono liberati alla velocità d’un lampo della prima, brutta storia che vedeva coinvolti magistrati, funzionari, avvocati e faccendieri che, all’interno del Tribunale Amministrativo Regionale pugliese riuscivano, secondo le accuse formulate una dozzina d’anni or sono,  a scambiarsi piaceri, mazzette, appartamenti e incarichi extragiudiziari. Un giro impressionante di affari in grado di pilotare giudizi amministrativi ma anche consulenze e lodi arbitrali, sviando i procedimenti da una sezione all’altra, arrivando perfino a chiedere di entrare a far parte delle commissioni d’appalto in qualche comune dell’hinterland barese. Ricominciamo, dunque, proprio dalla vicenda processuale che, dal 6 febbraio 1998 al 10 dicembre di quello stesso anno, riuscì a percorrere molto velocemente le tappe previste dalla richiesta di rinvio a giudizio, fino alla discussione in appello e alla definitiva archiviazione. “Nell’arco di poche settimane, con una impetuosa accelerazione delle udienze nel mese di luglio e con una sentenza di alcune pagine il Giudice dell’Udienza Preliminare ha ritenuto di doversi pronunciare e di porre la parola ‘fine’ su di un processo penale nel quale la sua imparzialità era stata contestata con un ricorso di ricusazione, nel quale quel G.U.P. ha fatto uso di poteri giurisdizionali che non gli erano consentiti”. Così apriva il sostituto procuratore distaccato presso la locale Procura Antimafia, Giuseppe Scelsi, la sua requisitoria d’appello –depositata il 28 settembre 1998- avverso la sentenza che mandava assolto il maggior imputato, e cioè il presidente della Prima Sezione Tar Puglia, Amedeo Urbano. Una sentenza con formula piena che non autorizzava, dunque, nemmeno l’apertura d’un procedimento disciplinare nei riguardi del giudice amministrativo barese, tornato puntualmente in questi giorni sotto i riflettori di indagini e accuse gravissime dopo tanto tempo. Eppure in ottanta pagine dattiloscritte e firmate dalla Procura Antimafia venivano squarciati i veli che da tempo aleggiavano sul Tribunale di piazza Massari, raccontando la storia di presone che, per lunghi anni, assicuravano ‘esito favorevole e vantaggi patrimoniali’ nei giudizi pendenti negli uffici di piazza Massari. Come? Manovrando e decidendo assegnazioni e sospensive, abbreviando termini, decidendo gli avvocati da nominare e, qualche volta, autodesignandosi relatori di giudizi che interessavano. Il quadro che usciva da quelle indagini era già allora a dir poco allarmante: non solo le decisioni in cambio di denaro o favori ad emergere, quanto l’esistenza di un vero e proprio ‘centro di potere’ costituito da giudici, presidenti, avvocati, cancellieri e imprenditori in grado di costruire carriere e distribuire incarichi, controllando la spartizione dei ricorsi tra le due sezioni del tribunale amministrativo barese come una specie di riffa. 

Chi s’opponeva era trasferito per incompatibilità ambientale
 
Un comitato d’affari che forse non ha mai abbassato la testa e che, magari con le buone maniere, già in passato aveva costretto a dare le dimissioni invitandolo a “…farsi i fatti suoi” un Presidente di sezione ‘calato’ da Roma apposta per tentare di rimettere ordine in quel Palazzo. Fatica sprecata. Scriveva ancora il P,M. Scelsi nel suo ‘je accuse’: “L’attività del dott. Ravalli divenne ben presto scomoda e pertanto, dapprima con blandizie e infine con aggressività sempre crescente si tentò da parte degli indagati di indurre il dr. Ravalli ad andare via e quindi si praticò la via del trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale”. 

Lo strano caso dell’avvocato che voleva denunciare tutto
 Insomma, la prima sezione del Tar Puglia doveva restare ad ogni costo ‘dominio’ incontrastato per dare una mano tramite avvocati ‘ammanigliati’ agli imprenditori che chiedevano concessioni edilizie nei comuni sciolti per infiltrazioni mafiose. Ad ottenere in quattro e quattr’otto il riconoscimento della Cassa Integrazione per le aziende in crisi dell’onnipresente padrone della sanità privata barese dell’epoca, don Ciccio Cavallari. E quando poi nello scenario spuntavano resipiscenze, pentimenti o la voglia di sputare fuori il marcio, come in ogni ‘trhilling’ che si rispetti, tutto assumeva contorni indefiniti, difficili da chiarire anche per gli investigatori. In questa storia accadde nell’estate del 1995, quando proprio uno degli avvocati di Cavallari che conosceva bene gli intrighi del Tar Puglia, morì in circostanze mai chiarite. L’avvocato Antonio Pecorella era sicuramente preoccupato per le indagini avviate da qualche mese dalla Procura Antimafia di Bari, minacciava di scoprire gli altarini scrivendo memoriali a tutto spiano. E pochi giorni prima di morire, il 23 luglio del 1993, ad un collega che aveva sporto denuncia su quelle storiacce, aveva confidato: “Bene, so che hai presentato un esposto, potevi farne a meno. La verità la conosco solo io e non le vado a raccontare genericamente, semmai ne parlo ad un collaboratore di cui mi fiso ed alla fine le scrivo. Ma non vado a consegnarlo, come hai fatto tu, ai giudici: che ne puoi sapere tu di Cavallari, del Tar e di tante altre storie?” I Carabinieri non hanno mai trovato quel ‘dossier’ esplosivo, in compenso, presso la Cancelleria del Tribunale Fallimentare di Bari, hanno scoperto gli atti d’una vendita all’asta per una villa aggiudicata allo stesso avvocato Pecorella, ma a favore di persona da nominare. E scava scava quella persona da nominare era stata in seguito indicata: si trattava della moglie del dott. Urbano Amedeo.
 
Francesco De Martino       
 
 
 
 


Pubblicato il 7 Marzo 2011

Articoli Correlati

Back to top button