Cultura e Spettacoli

“Senza paracadute”, sul fronte della notizia

E’ dura scrivere di colleghi, specie se caduti nelle sabbie mobili del precariato dopo aver assaporato la gioia (ovviamente breve) d’essere divenuto un “giornalista-giornalista”. E’ dura perché certe cose ti toccano. “Senza paracadute”, di Antonio Loconte (Adda, 2012) , questo ‘diario tragicomico di un giornalista precario’ si colloca a metà tra il J’Accuse e il monumento all’impotenza. Scritto con mestiere, ‘Senza paracadute’ può essere avvicinato un po’ a ‘Tuta Blu’ del nostro Tommaso Di Ciaula e un altro po’ a ‘Il Maestro di Vigevano’ di Lucio Mastronardi. Ricorda quei due successi non tanto per il senso di stizza o frustrazione che intride ogni pagina  quanto per la stessa capacità di afferrare il lettore e calarlo ‘in diretta’, dentro realtà a proposito delle quali dominano solo stereotipi e pregiudizi. Loconte raggiunge il suo obiettivo attraverso una trentina di capitoli brevi e asciutti, dinamici e velenosi. Il libro procede per flash descrittivi, tra colpi di sferza ; con un sorriso amaro svela retroscena squallidi. L’amarezza che la parola trasuda fa apparire l’Autore precocemente invecchiato ; una quindicina d’anni passati a fare lo “sguattero dell’informazione”  gravano sulle spalle del Nostro con la levità dei giorni passati da Giuda Ben Hur al remo della famosa galea. Questo senso di limone premuto ci riporta alla memoria anche i Gassman e i Sordi de  ‘La Grande Guerra’ di Monicelli,  povera carne da cannone chiamata al più insano dei doveri in mezzo a ranci freddi, pidocchi, bombe e munizioni razionate. Talora, senza accorgersene, Antonio Loconte sale un tantino in cattedra e pontifica, ma poi lo salva un senso gustoso dell’auto ironia. Corredano il libro efficaci illustrazioni a firma di Gaetano Longo, tanto più apprezzabili per il fatto d’essere in sintonia con questo desiderio di sorridere malgrado tutto, strisciante leit motiv del libro. ‘Senza paracadute’ cela infine tra le righe un interrogativo di gusto scespiriano : E’ più nobile sopportare i sassi e i dardi dell’oltraggiosa fortuna o prendere l’armi contro un mare di guai e contrastandoli por fine ad essi? Ovvero, è meglio vestire il frac e andare ad ascoltare un’orchestrina irriducibile mentre il transatlantico va a fondo o sgomitare intorno alle ultime scialuppe? Il fatto è che perdere il posto nel mondo dell’informazione non è proprio la stessa cosa che rinunciare a fare il necroforo o il killer al mattatoio comunale. Quando l’informazione ti va in vena non ne esci più. E allora certi interrogativi si fanno tormentosi. Tra resa e compromesso da sopravvivenza, Loconte indica una terza strada : restare reattivi e dignitosi (“Ciò che conta è non alzare bandiera bianca”).

Italo Interesse


Pubblicato il 25 Ottobre 2012

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