Serena, l’arbitro infido
Serena, l’arbitro infidoNon è infrequente che una partita di calcio o un match di pugilato facciano da paravento a confronti estranei al fatto sportivo. Dietro due campioni del pedale che si sfidano per una maglia rosa o due piloti di formula uno in lizza per il titolo iridato possono nascondersi schieramenti politici, etnie, Stati in opposizione. Scendendo di livello, anche una comune partita allo scopone scientifico o una sfida amicale sui cento metri possono celare contrasti di tutt’altra portata. Si prenda il caso dei protagonisti di “Due su tre”, un brillante atto unico a firma di Fabiano Marti e dallo stesso diretto, andato in scena al Forma. Mario e Fabio sono amici di vecchia data che si sfidano regolarmente al tennis. A legarli è un rapporto di odio/amore, riflesso di appartenenza a inconciliabili (ma solo sulla carta) universi del sociale e del pensiero. Partite che sono il pretesto ‘bellico’ ad una micro-epica sul modello Achille /Ettore, Coppi/Bartali, Mazzola/Rivera… Scontri per paradosso funzionali alla tenuta in vita di un’amicizia altrimenti impensabile. Ma se fra i due s’interpone una donna, infido arbitro di set?… Serena è la fidanzata di Fabio ; al suo ganzo tiene celato un segreto scottante. “Due su tre” è il racconto del lento dipanarsi di un mistero sul filo di una partita mai giocata. Nella bella scenografia di Gianna Pellicciaro il campo di battaglia è poco più grande di un tavolo da ping pong. La barriera (regolamentare, però) che divide i contendenti è qualcosa di più che una semplice rete da tennis. Così come la posizione di Serena, appollaiata come un rapace in cima al trespolo dell’arbitro, non è casuale. Ambiguo paciere di un litigio che avrà termine solo alla fine della non-partita, Serena (questa calcolatrice male in arnese) è un po’ il sensore del saliscendi umorale tra Mario e Fabio. “Due su tre” è così interminabile rissa verbale che poco a poco mette in piazza panni sporchi. Una partita, dicevamo, non consumata, scandita da battute di partenza sempre rinviate per via del rigurgito polemico di turno, come un coitus interruptus, come il famoso starnuto “abortito” del Principe del sorriso nella gag del vagon-lit in ‘Totò a colori (bella la trovata di lasciare la scena al buio con soli due coni di luce concentrati su tennisti contratti in attesa di un gioco che non arriva mai). Ovviamente, nel bel testo di Marti nessuna pallina vola. Non di meno la partita conosce un suo esito, ovvero la vittoria dell’amicizia maschile ad onta degli intrighi femminile ; ma in ciò non si voglia vedere del maschilismo perché il testo potrebbe essere voltato al femminile sulla base di un altrettanto misero pregiudizio. Mauro Pulpito, Fabiano Marti e Antonella Cappelli sono i ben applauditi interpreti di sessanta minuti d’intensa e spassosa schermaglia verbale, sostenuta da un ritmo giusto. Solo qualche improvvisazione di troppo ha spezzato gli equilibri, nella circostanza riconvertendo la cifra dell’allestimento in termini più da piccolo schermo che da teatro.
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Pubblicato il 4 Maggio 2011