Cultura e Spettacoli

Sette spilli per sette volte

Nel 1972 l’editore Levante dava alle stampe ‘Nomenclatura di medicina popolare barese’, un saggio etno-linguistico a firma di Carlo Scorcia. L’opera elenca alfabeticamente, e nel nostro idioma, un migliaio di voci a proposito di patologie e relativi rimedi. E’ singolare come un concetto persino moderno di medicina qui coesista disinvoltamente con una concezione arcaica e quindi superstiziosa della tutela della salute. Per cui, ad esempio, se il saggio si occupa di morbillo, tigna e ritenzione di acidi urici, dedica anche spazio a come si tagliano i vermi o come ci si difende dalle ‘masciare’. Era così chiamate le donne che, a pagamento, praticavano rituali magici chiamati ‘fatture’ (particolare degno di ampio sviluppo è che nella tradizione magica d’ogni tempo e latitudine l’uomo è sempre escluso da tale tipo di pratica…). Chi voleva male a qualcuno o voleva ridurre qualcuno in proprio potere (fattura d’amore) non aveva che da rivolgersi a queste megere. Per praticare la fattura peggiore la masciara prendeva un limone maturo e “vi conficcava sette spilli per sette volte” ogni volta pronunciando una formula avversativa il cui senso era questo : ‘Come lo spillo trafigge il limone, così il corpo dell’affatturato viene trafitto dal maleficio’. Qui non è chiaro se tutto si risolve nel conficcare quarantanove spilli di seguito o se, come pare più credibile, una volta completata la prima ‘tornata’ con sette trafitture, gli spilli vengono estratti e l’operazione si ripete altre sei volte. Comunque, al termine della prima fase della fattura, gli spilli restano infilzati nel limone allo scopo di annodarvi i capelli della vittima. Ciò fa immaginare questo tipo di fattura attuabile solo col concorso di persone molto vicine alla vittima, senza escludere che al tenebroso gioco si prestassero anche barbieri e parrucchiere. Agli stessi spilli, poi, e sempre col corredo di rudimentali incantesimi, andavano annodati tre nastrini colorati : il nero invocava la morte della vittima, il verde la sventura sulla sua famiglia (il nastrino rosso era impiegato per le fatture d’amore ; in questo caso le invocazioni di accompagnamento avevano altro tenore). A questo punto il limone trafitto e avvolto dai nastrini era avvolto in un cartoccio e nascosto ; operazione, questa, da farsi “in un’ora dispari di una notte senza luna”. E quale il nascondiglio ? L’Autore – riferendosi solo al caso del maleficio – indica discariche o cumuli di rifiuti. Tanto fa pensare che il ‘cartoccio d’amore’ venisse invece nascosto nel luogo più vicino possibile alla vittima, per esempio il terrazzo della sua casa, sul quale di notte non era difficile lanciare il piccolo involto. Ma cosa succedeva se qualcuno rinveniva cartocci di questo tipo? Potevano essere portati ad una masciara (magari la stessa ‘confezionatrice’…) la quale, procedendo ‘al contrario’ e pronunziando contro-esorcismi, ‘disinnescava’ l’ordigno magico. Poteva però andare diversamente.  A tale proposito Scorcia racconta un’esperienza personale : “Chi scrive ebbe la sorte di trovarne uno di tali limoni intorno al 1925 con nastro verde… Nulla sapendo, lo consegnai nelle mani di mia zia Giacoma, che si prese cura di distruggerlo come sopra descritto… Dopo qualche tempo venni a sapere che quella fattura era per Addolorata *** (gli asterischi sono nostri – n.d.r.), tuttora vivente. Questa popolana, insignificante, piuttosto squinternata, certamente per pura coincidenza figliò di lì a poco una bambina storpia”. Morale della favola, o la zia Giacoma non fu brava nel neutralizzare il maleficio o, come scrive l’autore, si trattò di “pura coincidenza”.

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 11 Aprile 2020

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