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Sfrattata tenta il suicidio

  «Salvatemi!», Amalia è sola quando urla; nessuno ad ascoltarla in quella corsia d’ospedale. Amalia Soloperto, classe 1959, cinque giorni fa ha inghiottito tanti barbiturici quanto bastano per porre fine a tanti, troppi anni di agonia. Uno sfratto tra poche settimane (il 7 settembre); un marito con un passato difficile; i figli a carico e nulla per sfamarli. Quante umiliazioni può sopportare una donna?  In quella corsia d’ospedale Amalia ci ha lasciato la speranza. «È stato mio marito a strapparmi dalle braccia della morte… oramai avevo preso la mia decisione». Dopo i barbiturici, la voglia di lasciarsi cadere assieme a tutte le preoccupazioni, da quel balcone di via Dalmazia 155: una casa mai appartenuta ad Amalia. Poi la corsa in ospedale, il ricovero: «Signora le ha detto bene, noi infermieri ne vediamo ogni giorno crepare così».  Amalia è disperata: la vita, strappata alla morte, non le serve da conforto. «Perché nessuno mi aiuta; perché nessuno comprende quanto soffra la gente che non ha nulla, né una casa, né un lavoro». Amalia ripete queste frasi a noi giornalisti; le stesse che, da anni, ha recitato con passione a molti maestri della politica “da televisione”. Da Vendola a Schittulli, per finire con Emiliano, non ne manca nessuno.     «Ho chiesto loro una casa, un lavoro per me o per mio marito… non si può vivere per sempre con il cibo offerto dalla Caritas!». Come risposta ha ottenuto un: «Noi della Regione abbiamo dato al Comune di Bari i fondi necessari per i senza  dimora, spetta a questo provvedere alle esigenze dei cittadini bisognosi». E quando si è rivolta finalmente al Comune, la segretaria del Sindaco ha mostrato ad Amalia tutta la comprensione possibile, come da protocollo. «Una presa in giro? Mi hanno promesso che sarebbero venuti a farmi visita in ospedale, per cercare insieme una soluzione ai miei problemi… li sto ancora aspettando». Non bisogna dar fretta a lor signori. I tempi della politica, si sa, sono lunghi.  Peccato che Amalia, adesso, non abbia più voglia di aspettare; più voglia di dormire in edifici abbandonati (ha fatto anche questo, abitando con la famiglia per mesi nel rudere pericolante, occupato da immigrati e senzatetto, di via Beltrani n.1); più voglia di nutrire i propri figli col cibo ricevuto in dono dalla Caritas; più, mai più voglia di sentirsi diversa dagli altri cittadini, essere umano di seconda classe, in una società che la vuole confinata ai margini.  In fondo Amalia non desidera altro che essere come tutti gli altri, in nome di quel senso di uguaglianza che dovrebbe essere alla base di ogni società. Perché la casa e il lavoro sono un diritto, e nessuno ha bisogno di carità ed elemosina se può costruirsi con le proprie mani un futuro.  Chissà se mai qualcuno dopo di noi, giornalisti oramai stanchi di raccontare a chi non vuol sentire le disgrazie di questa società, ascolterà l’urlo disperato di Amalia: «Salvatemi!».
 
 
Mirko Misceo  


Pubblicato il 21 Luglio 2011

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