Cultura e Spettacoli

Shylock, il tormento del luogo comune

E’ una stagione di grande richiamo. Il resto lo fa lo scintillio del Petruzzelli. Chissà se non arriveremo ai bagarini anche per la prosa. Scarse speranze di biglietto dell’ultimo minuto per stasera. In cartellone (lo spettacolo si replicherà anche domani) è Silvio Orlando, che Valerio Binasco ha voluto nei panni di Shylock per ‘Il mercante di Venezia’. Intorno al noto attore napoletano si muove la PSK (Popular Shakespeare Kompany), composta da una ventina di artisti di età compresa tra i 21 e i 53 anni e fondata su una voglia rabbiosa, quasi ‘arrembante’ di fare teatro. Binasco, che è il deus ex machina della PSK – una realtà che in fase di allestimento funziona come una comune in quel di Paderna (AL) – parla della sua creatura come di ‘modello produttivo a chilometro zero’. Non per questo la PSK mette da parte l’ambizione. Al contrario, punta solo sui classici, a cominciare da Shakespeare. E difatti dopo ‘La Tempesta’, ecco ‘Il mercante di Venezia’.  Ma quale ‘mercante’ vedremo? Binasco ha parlato chiaro in proposito : niente teatro di nicchia, ma ‘popolare’ nel senso più nobile del termine. Un teatro che riallacci il filo (reciso) che una volta legava il palcoscenico alla platea e viceversa. Operazione delicatissima considerando le insidie di un testo col quale è facile scottarsi, un testo da avvicinare con cautele da artificiere, oggi assai più che in passato, in ragione dell’antisemitismo che lo innerva. A ben guardare, però, Shylock e Antonio rappresentano qualcosa di più che distinte ‘etnie religiose’. Shakespeare qui fa collidere Male e Bene, che poi – compenetrandosi  all’impatto – smarriscono le rispettive identità. Allora è scontro tra uguali, l’uno contro l’altro aizzati dall’unico vero colpevole : il denaro. E siccome ‘pecunia non olet’, l’oro giudeo ha lo stesso peso di quello cattolico. Dunque, spiega Binasco, la fede non c’entra, è solo un problema di conformismo. In definitiva Shylock è  “un outsider”, nulla più. Per cui viene da pensare che il regista ligure sarebbe giunto alle medesime convinzioni anche a parti invertite, ovvero se nel gioco delle parti a incastrare l’avversario con un patto scellerato (la famosa libbra di carne) fosse stato il ‘buon’ Antonio. Quanto alla ‘cifra’ dell’allestimento, nessuno si aspetti una messinscena canonica, rigorosa in scene e costumi. Binasco immerge tutto in un vago presente, che ambienta in un non-luogo chiuso al mondo da un inquietante muro-fondale ; calca anche un po’ la mano a rinforzo dell’ironia e di tanto in tanto esagera. E Orlando? Ovviamente per lui nessuna consunta e buia palandrana, niente spalle curve e capo incassato mentre mani si fregano nel dire. La ‘maschera’ dell’usuraio ebreo qui è bandita. Piuttosto riconosceremo, pure nel look, altra maschera, quella dell’eterno precario dell’esistenza a cui pellicole di successo ci hanno abituati.

 

Italo Interesse

 


Pubblicato il 6 Dicembre 2013

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