Si apre, si spalanca… forse scoppia
Come rappresentare fidanzati, amanti o coniugi litigiosi? Poiché l’immagine in movimento rende più di quella ferma, quest’ultima se vuole imporsi con altrettanta forza, e tenuto conto del livello di attrito che nell’era globale va frantumando coppie, deve ricorrere all’elemento greve. E allora largo a pozze di sangue, a corpi esanimi (femminili in prevalenza) e lame, corpi contundenti in primo piano e altre crudezze cui media senza ritegno ci hanno poco a poco abituati. Non sempre, tuttavia, idiosincrasie reciproche preludono ad epiloghi drammatici. ‘L’amore non è bello se non è litigarello…’ cantava Jimmi Fontana alla fine degli anni sessanta. A parte certe banalità figlie d’un inestirpabile credo micro borghese, la speranza resta sempre dietro l’angolo. Alla luce di questo, la soprastante immagine ci pare ‘giusta’. In questo pregevole acrilico di Florisa Sciannamea, versatile artista di casa nostra, il tema del conflitto di coppia trova intelligente rappresentazione. Pur esplicita, qui la violenza è mitigata dall’esasperata cattiveria di quei volti che sembrano fare il verso all’Urlo di Munch. Per non dire del punching-ball posto a separazione dei due e che tanto somiglia ad una primitiva granata a mano. L’immagine in questione è ciò che più colpisce della locandina ancora in cartellone al Duse. Da venerdì, nel teatro di via Cotugno è in scena ‘Coppia aperta, quasi spalancata’, un lavoro di Dario Fo e Franca Rame che non ha bisogno di presentazioni. A misurarsi con questo testo che risale al 1987 è stavolta Ernesto Marletta. Faticosamente prodotto da Resextensa/Artemisia, lo spettacolo trova forza nella sintonia in cui riescono ad entrare regia e interpreti. In un allestimento dalle modalità essenziali, Marletta adatta il movimento alla contenuta metratura del Duse e, salvo piccole libertà (per esempio, Antonia diventa Apollonia, mentre lui è nientemeno che il dr. Mambrone…), si mantiene fedele al testo originale, del quale ha cura di confermare, sottolineandolo se necessario, il colore tragicomico. Il resto lo fa, e con discreto risultato, la verve dei generosi Maria Passaro e Pino Matera. Tale generosità offre il destro allo spettarore di identificarsi nell’uno o nell’altro protagonista, se non di affrancarsi dall’elemento soggettivo e gettare sul tema uno sguardo distaccato, magari andando anche al di là della palese faziosità della scrittura drammaturgica che risente alquanto del contributo della Rame.
Italo Interesse
Pubblicato il 15 Febbraio 2019