Spech, bel canto e baionetta
Al civico 31 di Via Margherita di Savoia a Molfetta corrisponde il portone d’un austero e signorile fabbricato vecchio d’un paio di secoli. Nell’Ottocento in quel palazzo di proprietà di Antonio Pappagallo si suicidò Eliodoro Spech, Colonnello garibaldino e già tenore di largo successo. Le cause del gesto sono da ricercare (anche) in una “mancanza di tatto” che nei confronti di Spech ebbe Menotti Garibaldi, figlio dell’Eroe. In questi termini si esprime Marco Ignazio De Santis in un testo appena edito da Imprinting. Affermato scrittore e saggista di casa nostra, in ‘Un amico di Garibaldi : Eliodoro Spech, cantante, patriota e soldato’ De Santis si occupa di una figura che nel Risorgimento ebbe un ruolo di secondo piano, non di meno restando personaggio degno della massima attenzione per il fatto d’aver rappresentato l’ideale dell’idealismo romantico portato alle estreme conseguenze. Eppure Spech, figura aitante e natura esuberante, aveva ben poco del ‘giovane Werther’ o di Jacopo Ortis. Ugualmente ne condivise la sorte tragica, per quanto sia facile immaginare che avrebbe preferito cadere sotto il piombo borbonico o austriaco che sotto quello del proprio revolver. Evidentemente c’era in lui la stessa tensione drammatica dei tantipersonaggi da melodramma che egli interpretò, quelle figure sospirose e nobili, nemiche del compromesso e moralmente intransigenti, destinate a fare da capro espiatorio per una società meschina. Dopotutto Spech, pur mettendoci del suo (e va bene che era stressato, però avrebbe potuto trovare come lavare l’onore macchiato), fu vittima di un qualunque mediocre, nonostante l’altisonanza del cognome (Menotti Garibaldi). Considerando i contorni della vicenda, il tutto ha un che di melodrammatico : L’eroe (Spech) si sacrifica, il vigliacco di turno, cioè Menotti, prosegue d’un gradino l’arrampicata sociale (stando di mezzo l’eterna storia della carne da cannone male armata e peggio equipaggiata), l’altro ‘Eroe’ – Garibaldi – stretto tra l’incudine e il martello dice e non dice (nelle ‘Memorie’ tace sul suicidio dell’amico del quale esalta il valore del combattente) e tutto attorno belle donne, ufficialetti, uomini di truppa… Insomma, su quel greve teatrino che fu l’Italia del periodo immediatamente post unitario, uno Spech non poteva che morire. Come difatti fu. Se in scena il Nostro sarebbe caduto cantando con calore appassionato l’irriconoscenza del prossimo e suscitando un uragano di applausi mentre lentamente il sipario calava solenne come un sudario, sul non meno sgradevole palcoscenico del quotidiano si accomiatò in silenzio. La sua ultima romanza (‘Non si accusi nessuno della mia morte…’) rimase sulla carta. Marco De Santis racconta con misurata partecipazione la storia di un uomo vero sullo sfondo (alquanto intriso di falsità) del suo tempo. Un uomo di teatro e di prima linea, una vita consumata in un andirivieni frenetico di carrozze, piroscafi e treni, in mezzo a un diluvio di missive, alloggi di fortuna e promozioni, encomi. Un uomo fragile e solo, ad onta d’una acclamata presenza scenica, del riconosciuto valore in battaglia e della buona indole sociale. Il libro di De Santis si legge con piacere. A impreziosire la lettura una messe d’illustrazioni rare e preziose che confermano l’entità dello sforzo profuso dall’Autore.
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Pubblicato il 13 Settembre 2011