Cultura e Spettacoli

Spigolature di fatti e misfatti (47)

La repubblichetta italiettina, nonostante i borboni siano stati spazzati via dal regno di napoli oltre un secolo e mezzo fa, ad opera (falsamente, si dice, in quanto  il pesante, decisivo ausilio alla impresa dei “mille” fu dato dai piemontesi di cavour e, soprattutto, dagli inglesi che hanno, da sempre, amato fare della sicilia una loro militare  “enclave” nel mezzo del mediterraneo) del rozzo, zotico nizzardo, massone giuseppe garibaldi (che, a dire il Vero, avrebbe, benissimo, potuto e dovuto farsi le “mentulas suas”, invece di approdare alle coste del “sud” a rompere gli zibedei nostri, contribuendo alla fittizia costruzione di quella specie di crociano “ircocervo”, cioè, l’inesistente l’italietta unita, con a capo i savoia ”sine capite”), è, ancora, sottoculturalmente, borbonica, grazie, si fa per dire, alla plebaglia, di cui si compone, in massima parte, il suo popolicchio; grazie, si fa per dire, a coloro, a cui la plebaglia affida il non arduo compito di governarla. Non arduo il compito?  Sì, perché bastò nel ventennio fascista un tribuno, il mussolini, con parole “tormentoni”, con espressioni “mantra”, a convincere milioni di italiettini ad accettare il salasso della partecipazione alla seconda guerra mondiale. Sono bastati gli spettacoli – comizio del comico grillo, ad  elevare, nel marzo 2018, ai vertici delle istituzioni italiettine una frotta di giovincelli “senza arte, né parte”. Perché, sottoculturalmente, borbonica? Per tenere buono, assopito il loro rilevante gregge, i borboni usavano la politica delle “tre f”, sì che lo facevano divertire, lo ingozzavano di pane con frequenti dazioni di farina, ma non infrequenti erano i patiboli, se esso osava fomentare qualche scintilla di rabbia, giustificata dalla condizione di indigenza in cui erano tenuti dalla dinastia, che lo opprimeva. Ovviamente, non era stata farina del sacco dei borboni la politica delle “tre f”, in quanto la classe dirigente della roma repubblicana e imperiale l’aveva bazzicata, oltre le reali necessità, in roma, nella penisola, nelle città ”tentacolate”dall’ossessivo dominio della città tiberina intorno al bacino del mediterraneo, nei territori ad est e a ovest dell’europa. Teatri, circhi, sparsi ovunque roma imponeva il suo ferreo , truce, esoso imperialismo, nei quali scorreva sangue dei gladiatori, sangue di condannati a morte, sbranati da fiere affamate, sangue per tormenti, torture inauditi e le ciurme delle suburre si divertivano nel vederlo scorrere, immaginando fosse di coloro che le dominavano, costringendole alla più indegna miseria. Divertimento utilissimo ai dominatori interni a roma e agli zerbini delle periferie dell’impero, collusi con i primi, ché le masse ”de – vertebant” la loro attenzione, la loro rabbia dai reali responsabili della loro miserabile condizione e la spostavano sui protagonisti degli spettacoli cruenti, a cui assistevano, sì che, a loro insaputa, in essi subentrava la”catarsi”, la purificazione, la liberazione dagli impulsi irrazionali, dalle insane passioni a fare, se ad esse fosse stato possibile, man bassa dei loro dominatori. Al rito inconsapevole della ”catarsi” erano sollecitate, anche, le Plebi della Grecia Classica, ma non nei circhi, sebbene nei Teatri, ove gli spettatori assistevano al “poetico”,”virtuale” scorrere del sangue nelle Tragedie, a cui presenziavano, che non era ”di maschere” di sfigati, degli ultimi, dei miserabili, bensì di re, di regine, di figli di re; insomma, di appartenenti alla “elite” sociale, economica, politica greca, ripresi dalla/nell’immaginazione poetica. I potenti si scannavano tra di loro e la drammatizzazione di fatti e misfatti, di cui  essi erano, poeticamente, protagonisti era l’unica ricompensa che essi potevano offrire ai loro sudditi, che da siffatta visione,in qualche modo, erano vendicati delle prevaricazioni, grassazioni, dai loro aguzzini  propiziate e, quindi, purificati di qualsiasi intenzione di creare cruenti grattacapi ai loro tiranni, quali che fossero le modalità di esercizio della tirannide: assoluta o democratica, si fa per dire. E le Tragedie non erano degli sconosciuti di ieri e di oggi; i miei 25 Lettori, MI scusino, se è poco: erano le Immortali Opere, a Deliziare il Palato Raffinato delle Plebi Greche, di Sofocle, di Euripide, di Eschilo. Dalla breve Sinossi dell’ ”Edipo re”, di Sofocle, possiamo Verificare la Verità di quanto, appena, sopra, ho Argomentato: Edipo è figlio di Laio, re di Tebe e della moglie Giocasta. Dall’oracolo di Delfi Laio  (“Tantum templum dei”, Lamentava Lucrezio; in parole povere, di quanti delitti e di quanti lutti sono state e sono responsabili le religioni positive, tra le quali, in prima fila la cattolica!)viene sapere che il figlio avuto da Giocasta lo ucciderà. Pertanto, Laio affida il bambino a un suo servo con l’ordine di ucciderlo, delitto che il servo si rifiuta di perpetrare, pregando il re di Corinto di allevare il bambino. Per motivazioni, che in questa sede sarebbe lungo elencare, Edipo, divenuto grande di età, si scontra con Laio e lo uccide, senza sapere di commettere un parricidio e si impadronisce del trono del padre. Sposa Giocasta, senza sapere che è sua madre. Scoppia un’orrenda pestilenza a Tebe e Edipo chiede lumi all’oracolo sulle cause di essa. Inaudito è il responso dell’oracolo: gli dei sono irati con Edipo, in quanto s’è unito, sessualmente, con la madre. Conosciuta la terribile Verità Edipo si acceca. Attraverso il Teatro, le Tragedie, Scritte dai più grandi Tragediografi di tutti i tempi, la Plebe Greca Effettuava la sua “Catarsi”, ché la Bellezza Contenuta in Esse la Trasportava nel “più spirabil aere” della Verità che, Citando il Foscolo “Dei Sepolcri, ”… temprando lo scettro ai regnatori /gli allor ne sfronda, ed alle genti svela /di che lacrime grondi e di che sangue”. L’arte, la Poesia Rivelava alla Plebe Greca che, anche, i loro “regnatori” avevano sofferti motivi per essere infelici e non tutti, ma quasi, morivano nel loro letto, tanto per usare un’espressione popolare. Siffatti spettacoli erano patrocinati, se non sovvenzionati, dall’ ”establishment” delle città greche che, per interposti personaggi teatrali, faceva una specie di interessato “coming – out” (del suo essere al mondo, delle sue relazioni interpersonali, spesso, fonte di inenarrabili, delittuosi dispiaceri), che sgonfiava il rancore della Plebe e la rimandava a casa pacificata, ripagata, forse, del suo disagio sociale, economico, politico. Vivendo d’Arte (per Parafrasare Tosca della omonima Opera Lirica di Giacomo Puccini, anche se qualche abominio la democrazia ateniese commise “ad anima viva”, come la condanna a morte di Socrate ed altro), di Immensa Letteratura, di Filosofia, di Scienza, la Grecia,”capta, ferum victorem cepit e artes intulit agresti Latio – La Grecia conquistata, conquistò, a sua volta, il selvaggio, feroce, popolo romano e introdusse le arti nel Lazio, campagnolo, zotico, selvatico”. (Orazio, Epistole II,1,156).”Tamen”, mentre in Grecia, almeno nella Conoscenza della Bellezza e, quindi, del Bene e, quindi, della Verità non v’era iato tra la casta, il fior fiore, il gotha sociale, politico, economico e la Plebe, ché, dal punto di vista culturale, il popolo greco era, unitariamente, disponibile all’acquisizione dei Valori, di cui sopra, e, non di rado, a praticarli, in roma e nelle città italiche e nei territori, da essa conquistati, ci fu una netta divaricazione, che non si è mai risolta, tra una ristrettissima minoranza dedita, coinvolta alla/nella Sublimità delle Arti Figurative, della Letteratura, della Musica e le suburre che continuarono e continuano a frequentare luoghi (circhi, stadi, discoteche, piazze, movide) dove sfogare la selvaggia istintualità animale, che non educata e non riciclata in Energia Positiva, utile per AccenderSi in “Egregie Cose”, viene sversata, tal una cascata di violenza inaudita, contro tutto ciò e tutti coloro che incontra. Oggi, si erigono palchi, megastrutture, per fortuna, non per,”coram populo”, finire qualche sventurato, attinto da condanna alla pena capitale, come in passato, ma per incretinire, abbruttire, incattivire, con robaccia pseudomusicale, folle sterminate di idioti, prone nel dissipare molti sesterzi ai botteghini, se l’evento non è assoldato dai poteri pubblici. Sempre pronti nel partecipare alla produzione di spettacoli di sottocultura o di media cultura, ancora più pericolosi, ché illudono gli stolti che al di là di dalla lucio, ad esempio, di moriconi ”et similia” non possa esserci altro.  Invece, c’è Mozart e il Capolavoro suo Assoluto,”Le nozze di Figaro”, alla vigilia di capodanno, trasmesso, visto da pochi telespettatori, da “rai 5“, in concomitanza con le stronzate, applaudite da milioni di stronzi, grugnite da stronzi, che presumono di scrivere musica e cantarla senza saperla leggere, su orrende strutture, innalzate, ripeto, con fondi pubblici in tutte le città italiettine.”Chiunque è conoscitore di quel che è buono (e Bello, Aggiungo IO) saprebbe anche amarlo; al contrario chi non è in grado di distinguere, gli uni da gli altri, i beni (il Bello dal brutto, Aggiungo IO), e gli oggetti che non sono né beni, né mali (la cultura musicale media, aggiungo IO), come potrebbe anche amarlo, quel che è buono(e Bello, aggiungo IO)?”. (Epitteto, Diatribe II, 22,39). Appunto, e chi ha la Responsabilità di Far Brillare, di non oscurare, di  focalizzare alla vista dei giovani ignari il Bene, il Bello in ineludibile alternativa al male, al brutto? Lo stato e i suoi enti culturali partecipati, la scuola, la famiglia, il partito, la sacrestia! Molto probabilmente, stettero, stanno, staranno su “marte”  a magnificare le doti canore di benji e fede, di fedez, di sfera ebbasta, di anastasio, di emma, di celentano, di baglioni (non Comprerei un disco- valeriana di costui neanche sotto tortura), tacendo agli inesperti di vicende terrene che sul pianeta “Terra” Calcò le Scene la Divina Maria Callas.

 

L’italietta unita? I lombardi e i veneti vogliono, esigono l’autonomia fiscale, soprattutto, cioè, da avari, quali sono, si preoccupano di, gelosamente,  custodire sotto i loro materassi il denaro proveniente dal loro gettito fiscale, senza comunella fare con alcuno. A dire il vero, quando l’italietta passò sotto le forche caudine della guerrafondaia  monarchia sabauda, i trisnonni degli attuali, pochissimi, autentici “lumbard”, ché la maggioranza di essi sono siciliani, calabresi, pugliesi, campani di terza generazione, avevano assoluta nostalgia del modo razionale, sobrio, incorruttibile di amministrare il lombardo – veneto da parte dei funzionari austriaci. Per cui le loro richieste, che guardano a un passato, in qualche modo, felice dal punto di vista amministrativo, ma non dal punto di vista dell’Etica Solidarietà,, potrebbero essere considerate plausibili. Comunque, uno si chiede: ”Allora a che “pro” tutta la cagnara risorgimentale con migliaia di morti nelle tre “guerre di indipendenza”, con innumeri patiboli innalzati, fucilazioni e la velenosa, menzognera retorica postrisorgimentale, magistralmente, Irrisa da Luigi Pirandello nel suo Romanzo: ”I vecchi e i giovani”? Non parliamo, poi, degli zollisti dell’alto adige, dal piscio maleodorante  di austriacume e di germanicume, la cui cartellonistica, piantata sulle nevi delle loro montagne, è in lingua, ineludibilmente, tedesca. Sicché, una sciatrice di reggioemilia, non conoscendo il tedesco, non ha capito che la indicazione “Rodein verboten” le vietava, per scendere a valle, di percorrere una certa pista (nera) con lo slittino. Risultato: s’è schiantata contro un albero con la Figlia di otto anni, morta sul colpo, e lei in un letto d’ospedale in gravi condizioni. “Amen”.

Pietro Aretino, già detto, Avena Gaetano


Pubblicato il 15 Gennaio 2019

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