Cultura e Spettacoli

Splendori passati e attuali miserie del gioco del calcio

“Tutto quello che ho appreso sulla morale e sugli uomini lo devo al calcio”. E’ un Pensiero di Albert Camus, che da Ragazzo aveva Giocato in porta in una squadra giovanile algerina. La promettente carriera calcistica del Filosofo, Scrittore, Poeta, Drammaturgo Francese si arrestò di colpo a 17 anni, quando Si ammalò di tubercolosi, ma la passione per questo sport non Lo abbandonò mai, come, purtroppo, la malattia che, tra momenti regressivi e altri recidivanti, non Gli diede, giammai, tregua. Il calcio, metafora della Vita o la Vita, metafora del calcio ? In ogni caso, come il portiere è solo tra gli altri, insieme agli altri, ultimo baluardo, estremo difensore dell’Entità Metafisica, che è la Squadra, in quanto, pur, composta di Parti (i Giocatori), il suo Significato  Esula, Espatria dalla somma di Essi, così l’Artista, il Poeta, lo Scrittore Difende la Libertà sua e di coloro che non hanno voce contro la “peste” (la dittatura) con la Creatività, che è alla base della sua rivolta contro di essa. Quindi il Portiere, come l’Intellettuale, insomma, è sempre in bilico tra Solidarietà e Solitudine. Infatti, per Parafrasare Carmelo Bene, anch’Egli appassionato di calcio, bisognerebbe Distinguere tra azione e atto. Le azioni si possono programmare, progettare in allenamento e realizzarle, solidalmente, tra più giocatori della medesima squadra nel corso di una gara (quante volte abbiamo sentito dire dai telecronisti che tra x e y e z è stato messo in opra uno schema, provato e riprovato in allenamento), mentre l’Atto è il Gesto d’Istinto del Portiere che tiene col fiato sospeso la marea, prima, vociante degli spettatori di un incontro di calcio; che delude, annienta gli uni   (i tifosi della squadra avversaria), se Egli, con movimenti non intenzionali, straordinari. (dis)umani, lampi fuori dal tempo, riesce a cacciare la “pelota” dalla sua porta; che esalta gli altri (i tifosi della sua squadra), traboccanti di incontenibile gioia, in quanto vedono in Lui l’Espressività coreografica del Ballerino solitario, anarchico, non governato da niente e da nessuno. Camus Scriveva: “Mi rivolto, dunque siamo”; perciò, secondo Lui, qualsiasi governo desertifica la Vita. Essere, comunque, governati, è la condizione per inaridire il Talento, che va fatto zampillare da ogni Uomo. Negli anni cinquanta nell’ ”inter” Militò Giorgio Ghezzi, Portiere definito Kamikaze ché Si Gettava, a volo d’angelo, faccia in giù sui piedi dell’avversario, che avanzava nella sua area di rigore. Nella sua Biografia Ghezzi Scrive: “In quel periodo c’erano tanti portieri bravi: Costagliola, Viola, Sarti, Negri, meno acrobatici di me, ma più regolari. Ma a me i portieri regolari non sono mai piaciuti… I portieri, bravi nelle uscite, sono protagonisti di colpi di genio, mentre tra i pali tutti sono capaci”. Nella solitudine Si Forgia l’Artista e il Campione di calcio, “sed” la loro Poiesi, liberamente, per essere utile alla Società e alla Squadra, Si Dissolve nell’umanità, terrenità, mondanità delle Regole; la loro irripetibile, singolare, individua, geniale Fantasia non può non RelazionarSi, ConfrontarSi, in maniera partecipe, con le Esigenze, le Finalità, la Teleologia delle Totalità, in cui sono Inseriti, che, anche, per il loro ”Gioco” irresistibile, avvincente, ancorché, duramente, faticosamente, su camminamenti impervi, S’Avviano a Contemplare l’Idea della Perfezione. Per Camus “anche la lotta verso le cime basta a riempire il cuore dell’uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice”. In italia Vita e calcio non hanno avuto un sistematico rapporto serio e consolidato. Dobbiamo, “tamen”, Precisare che, quando Diciamo “Vita”, CI Riferiamo solo a Quella di cui l’Arte Pronuncia il Nome con un Fremito. Leopardi nel 1821 Scrisse un’Ode Dedicata a Carlo Didimi di Treia, una Stella del pallone (all’epoca una sorta di incrocio tra la pallavolo e il tennis). In “A un vincitore nel pallone” il Grande Giacomo, all’unisono con il suo “pessimismo storico”, Dipana uno scenario, irrimediabilmente, negativo del momento politico a Lui coevo.”Di gloria il viso e la gioconda voce, /Garzon bennato, apprendi, /E quanto al femminil ozio sovrasti /la sudata virtude. Attendi attendi, /Magnanimo campion (s’alla veloce /Piena degli anni il tuo valor contrasti /La spoglia di tuo nome), attendi e il core /movi ad alto desio. Te l’echeggiante /arena e il circo, e te fremendo appella /ai fatti illustri il popolar favore;/ Te rigoglioso dell’età novella /oggi la patria cara /Gli antichi esempi a rinnovar prepara”. Leopardi, quindi, in questa Ode, inserita nel contesto delle Odi civili e patriottiche che Spronano al Risorgimento nazionale, Acclama Carlo Didimi (fu, anche, carbonaro e patriota) Campione, LodandoLo per la Gagliardia spesa nell’agone sportivo. Inequivocabilmente, Didimo, secondo il Poeta, Testimonia che, per non svuotare la Vita del suo intrinseco valoroso Vigore, non si può non Imporre ad Essa la Combattività e l’Alea del Rischio. “Nostra vita che val ? solo a spregiarla: /Beata allor che ne’ perigli avvolta, /se stessa oblia…”. Se, come prima Argomentammo, il calcio è la metafora della Vita o la Vita è la metafora del calcio, entrambi vanno “Giocati” e non importa se dal “Gioco” la vittoria o la sconfitta sortirà, necessario è l’Agire. Allora, Leopardi Sollecita il Giovane Carlo a Essere Coerente, sempre più, con le Premesse del suo Viatico Esistenziale ché, per l’ineludibile Salvezza dall’infelicità e dalla noia, è, altrettanto, ineludibile la Trascendenza dall’accidia al coraggioso, pur non finalizzato, Attivismo. A tal proposito, si Legge nella Quarta di Copertina del Libro di Eduardo Galeano, Scrittore Uruguayano, “Splendori e miserie del gioco del calcio”: ”Un giornalista chiese alla teologa tedesca Dorothee  Solle: ’Come spiegherebbe a un bambino che cos’è la felicità?’ ‘Non glielo spiegherei’- rispose – ‘Gli darei un pallone per farlo giocare’”.  “E basta!”- NOI Aggiungeremmo – o, se il pallone costa troppo, dategli, anche, una palla di pezza (ai tempi nostri non avevamo altro, per giocare!), un barattolo di latta, ‘extrema ratio’ (‘nu buat’, Dicesi nella Lingua di bitonto)!”. Proprio mentre Giocava con questo umile “giocattolo” in una strada di torino, Carlo Parola, Giocatore, per gran parte della sua Carriera, della “juventus”, Nazionale e, poi, Allenatore, Grandissimo Centromediano, il cui numero preferito era la “rovesciata”, pur avendo alle calcagna l’avversario, fu scoperto dagli osservatori della squadra degli agnelli. Renderemmo infelice un bambino, se, incautamente, lo convincessimo, sottoponendolo a diuturne vessazioni, a teleologizzare il suo ”Gioco” spontaneo, libero, dai gesti atletici sorprendenti, dalle movenze e coreografie creative. Come, purtroppo, fanno, delittuosamente, tanti mammini e papine di oggi, speranzosi che il fantolo possa, eventualmente, diventare famoso, guadagnare immeritati sesterzi con i piedi e riscattarli dal loro essere infognati nella gogna dei condòmini. Il Poeta, è Acclarato, è un Bambino che non volle, mai, diventare adulto o, se tale diventò, Impiegò una Vita per Recuperare la sua Culturale, Spirituale, Innocente, Ingenua Fanciullezza. ”Per diventare bambino – Picasso Proclama – ci vuole una vita”. Per Parafrasare Carmelo Bene, con la Poesia, con l’Arte non si scherza, in quanto lo scherzo è adulto e il “Gioco” è infantile. Con quanto serio Amore Pasolini Si Donò al ”Gioco” del calcio! Con la Competenza di un Tecnico scafato Disquisì di giocatori, di schemi, stili e tattiche. Ad esempio, secondo Pasolini: Bulgarelli Giocava ”un calcio in prosa”, essendo Egli un “prosatore realista”; Riva Giocava un ”calcio in poesia”, essendo Egli  un “poeta realista”; Rivera Giocava un “calcio in prosa”, ma la sua era “prosa poetica” da “elzeviro”. Anche, Mazzola era un “Elzevirista”, ma era più Poeta di Rivera: “ogni tanto egli interrompe(va) il gioco e inventa(va) lì per lì due versi folgoranti”. Ancora, Pasolini: ”Così per ragioni di cultura e di storia, il calcio di alcuni popoli è fondamentalmente in prosa: prosa realistica o estetizzante (quest’ultimo è il caso dell’Italia), mentre il calcio di altri popoli (latino – americani) è fondamentalmente in poesia… Il calcio dei brasiliani, impostato sul dribbling e sul goal è un calcio in poesia… Il calcio che esprime più goals è il calcio più poetico… La cosa più sublime nel calcio è vedere partire un giocatore da metà campo, dribblare tutti e segnare”. Pasolini, malinconicamente, Afferma che “siffatto evento non succede mai”. Pasolini morì nel 1975, nei campionati del mondo del 1986 maradona, nella partita argentina – inghilterra, segnò agli inglesi il Goal che tutti i giocatori di calcio sognano di fare; che tutti gli spettatori bramano poter “Contemplare”. Nel campionato di calcio italiano del 1999, antonio cassano all’88° minuto della partita bari – inter  si ricordò di maradona nel segnare un goal da favola all’inter. Qualche giorno fa il Giocatore egiziano, Salah, nella semifinale di “Coppa Italia” tra la fiorentina e la juventus, ha castigato la juventus, rubando a marchisio la palla a centrocampo, lasciando in “surplace” difensori e centrocampisti bianconeri e, entrato nella loro area di rigore, ha trafitto storari con una legnata da urlo (“Kness” nella Lingua bitontina. C’era oltre, oltre mezzo secolo fa, un giocatore della “Serenissima Bitonto”, Militante nel campionato di “Promozione”, dal quale si saliva, direttamente, in “serie C” nazionale, nativo di bitonto, di nome Pierro, in arte “u Sguiz”, forse, per la sua professione di salumiere, venditore del formaggio “svizzero”, Fratello di don Pasquale Pierro, che scagliava legnate tali da sfondare, alla Levratto, le reti  della porta avversaria. Compagno di squadra di Pierro era un Giocatorino di nome Pesola, ala sinistra. Nella partita bitonto – maglie, sempre di un campionato di “Promozione”, la “Serenissima” era, già nei primi 20 minuti, in svantaggio di 2 a 0 nei confronti della capolista. Ebbene, verso la fine del primo tempo, Pesola conquista la palla a centrocampo, con una serie di dribbling “asfalta” tutti gli avversari che gli vanno incontro e finisce in porta col pallone. La partita si concluse, trionfalmente, con il risultato di 3 a 2 in favore della “Serenissima”). Pasolini avrebbe indossato, perfino, la maglia del “genoa calcio”, ma, come un bambino, praticava il suo “Gioco” preferito in un qualsiasi campetto, specie, delle Periferie Romane o nelle assolate spiagge di Grado, ove Egli, scattante, dotato di classe, sempre nel vivo dell’azione, brerariamente, ”uccellava” Citti e Davoli nei primi, Reja e Galeone nelle seconde. Impazziva per il “doppio passo” di Biavati (tutti i grandi Giocatori avevano il loro numero che Esibivano in diversi momenti delle partite. Ad esempio, il milanista, Gunnar Gren aveva il “colpo di tacco”; Liedholm aveva il lancio ai suoi attaccanti da 40 metri; le poderose uscite di pugno di Sentimenti IV erano “assist” per le ripartenze della sua squadra), che Mlitava nel “Bologna più potente della Storia”. Nelle cinque Poesie sul “Gioco” del calcio: ”Squadra paesana; Tre momenti; Tredicesima partita; Fanciulli allo stadio; Goal”, Umberto Saba, assolutamente, critico nei confronti di coloro che si emozionavano nel vedere ragazzotti in mutande che tiravano a calci un pallone, si convertì all’apprezzamento dei secondi e capì i primi, quando, spinto dalla Figlia, Si Recò ad Assistere ad una partita della “Triestina”, la squadra della sua Città natale. Sentì, allora, che lo spettacolo calcistico era un’occasione imperdibile per Operare un bagno nella massa, per riconoscersi nella massa, per SentirSi insieme, unito agli altri e realizzare un momento di disinteressata, sincera (dis)umana convivenza. ”Anch’io tra i molti vi saluto, rossoalabardati, /sputati dalla terra natia, da tutto un popolo/ amati. /Trepido seguo il vostro gioco. /Ignari /esprimete con quello antiche cose /meravigliose /sopra il verde tappeto, all’aria, a chiari /soli d’inverno.” (U.Saba, da “Squadra paesana”). Abbiamo molto insistito sugli Splendori passati del “Gioco” del calcio per RammentarLi a chi ha la memoria corta, e, poi, perché le miserie di esso sono sotto gli occhi di tutti. Quali, dunque, le miserie ? Debiti immedicabili da parte di tutte le società di calcio italiettine, sia professionistiche che dilettantistiche. Anche il calcio inglese sarebbe in gravissima sofferenza.”Tamen”, molte di esse sono proprietarie degli impianti; sono indebitate, ma patrimonializzate. Dal “Sole 24 ore” dell’aprile 2007 siamo informati che  “le società di calcio italiettine ricorrono alla cosiddetta ‘finanza creativa’: bilanci falsi o truccati, operazioni che  ostentano finti ricavi con annesse plusvalenze (mentre invece sono partite di giro) oppure fanno emergere plusvalenze patrimoniali utili ad assorbire, ma solo sulla carta, future perdite”. Gli unici introiti delle società di calcio italiettine provengono dagli introiti dei “diritti televisivi”; i botteghini languono in quanto gli stadi si riempiono in media, annualmente, solo al 56%. I principali responsabili di tanto disastro sono i giocatori e gli allenatori che, ad onta della loro modestia tecnica e umana, pretendono ingaggi da capogiro, rastrellando, in combutta, in concorso tra loro, quasi tutto il denaro, che gira nel sistema “calcio”, sottraendolo a interventi finanziari per ammodernare gli impianti sportivi esistenti o per costruirne di nuovi, destinati, soprattutto, ad attività sportive giovanili. Scorre sangue dentro e fuori gli stadi: città devastate da orde di balordi; campi di gioco ove si percepiscono, con grave imbarazzo dei Giusti, calcioni, manate, gomitate, pericolose entrate in gioco con i “piedi a martello” che causano spesso gravissimi infortuni. E nauseanti manifestazioni di isterismi collettivi! I giocatori di calcio, operanti in tutte le serie, non sono atleti, ché non fanno morigerata, sobria Vita di Atleti: assidui frequentatori di locali notturni, dissipando energie fisiche che, ovviamente, vengono distolte dall’impegno agonistico; proprietari di auto potentissime, costosissime; di barche da milionari dell’euro. Ignoranti, non hanno alcuna cura del loro cervello e del loro spirito, correndo dietro i “trend”, manifestano gregale omologazione, omogeneizzazione nel loro “look” (le acconciature, tutte simili, della loro cervice sono quanto di più demenziale possano esprimere i “minus habentes”), nel loro linguaggio, nei loro rapporti interpersonali, nel loro gioire, addirittura, per una rete segnata. E, infine, l’ossessiva flagellazione dei loro corpi con tatuaggi da galeotti. Nella partita di qualche giorno fa tra la juventus e la fiorentina, la telecamera s’è soffermata sulle gambe di pepe, pedatore della juventus: erano colme di farfalle tatuate, in omaggio, forse, a belen rodriguez e alla sua farfallina inguinale, alla quale il soggetto – oggetto di una follia indicibile potrebbe, ognora, fare riferimento per la sua sessualità “onanistica”. La nativa Capacità del “Gioco” del calcio di Sorprendere, di essere l’Evidenza dell’Imprevisto (Garricha, l’angelo dalle gambe storte, il poliomielitico, è stato Uno dei più grandi attaccanti che abbiano calcato i  tappeti verdi) giorno dopo giorno, ormai, s’è appiattita sul “trash” sottoculturale dei suoi, eticamente, imbruttiti attori. In campo e nella vita!  

Pietro Aretino, già detto Avena Gaetano

pietroaretino38@alice. it  

 

 


Pubblicato il 10 Marzo 2015

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