Cultura e Spettacoli

Strappati al fucile, consegnati alla vanga

La Storia è ricca di pagine dimenticate, malridotte, addirittura strappate. E’ quest’ultimo il caso dei campi di prigionia attivi in Puglia durante la Grande Guerra. Tra Acquaviva, Bitetto, Castellana, Mola, Conversano e soprattutto Altamura, la Puglia dovette accogliere migliaia di prigionieri austroungarici. Scarsissima la documentazione fotografica in merito. Ancora più scarse (e non può essere un caso) le notizie relative alle condizioni di vita di questa massa di uomini di età compresa tra i 18 e i 40anni. Chi dovesse immaginarli oziosi e immalinconiti all’interno di baracche, intenti a scrivere lettere, fumare pessime sigarette o intonare canzoni nostalgiche sarebbe in errore. Ad esclusione degli ufficiali – sempre privilegiati sotto ogni bandiera – un popolo di soldati dovette patire anche il lavoro forzato, non bastassero fame, sporcizia e malattie. Eppure ciò non costituì un abuso. L’art. 6 della Convenzione dell’Aja, infatti, riconosceva il diritto di utilizzare i prigionieri di truppa come mano d’opera per i lavori pubblici o privati. Poiché in Italia la maggior parte dei giovani aveva dovuto abbandonare campi ed officine per andare a morire al fronte, questi prigionieri furono destinati ai lavori agricoli, (si sa che quelli ‘ospitati’ al Casale di Altamura furono assegnati ai lavori di mietitura e trebbiatura in Capitanata, oltre che allo spietramento del suolo murgiano). Gli altri vennero impiegati nelle fabbriche (l’Ansaldo ottenne dalla Puglia una quota di mille ‘unità’), nella produzione di combustibile, nella costruzione e manutenzione stradale e ferroviaria, nei rimboschimenti, nelle miniere, nelle cave di pietra e nell’artigianato (dal tornitore all’orologiaio). Lavori stremanti, responsabili dell’aggravio del deperimento imposto dalla modestia del vitto, quando non di incidenti mortali. Ma peggio fecero le condizioni igieniche. L’epidemia spagnola che falcidiò l’Europa tra il 1918 e il 1919, fece strage sopratutto ad Altamura. In una fossa comune del campo del Casale furono inumati i resti di 1023 prigionieri.  Solo nel 1920 il Ministero della Guerra, sollecitato dalla Missione Militare a Vienna, provvide a recuperare l’elenco dei nominativi dei seppelliti in vista di uno scambio di informazioni relative ai prigionieri italiani sepolti oltre le Alpi. Ma nel caos del dopoguerra tutto scivolò nel dimenticatoio. Lo stato di abbandono si protrasse sino al 1933, anno in cui in occasione della ritrovata amicizia fra l’Italia e la Germania al Corpo d’Armata di Bari fu ordinato di ripristinare il cimitero di Casale. La difficoltà di individuare le sepolture, portò alla decisione, condivisa dal Commissario del Governo e dalle autorità locali, di traslare le spoglie dei soldati in una edicola funeraria realizzata nel 1935 all’interno del cimitero municipale di Altamura.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 31 Maggio 2017

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