Cultura e Spettacoli

Successi, sperimentalismo e graphic novel

Un percorso costellato di successi e sperimentalismo che ha lasciato il segno, quello di Onofrio Catacchio, fumettista e docente universitario barese, partito alla volta di Bologna negli anni ’90, che ad oggi vanta collaborazioni editoriali di prestigio come Bonelli e Granata Press. Autore di tanti originali personaggi di successo come Stella Rossa e, insieme a Lucarelli, anche del famosissimo ispettore Coliandro, a cui si è rifatta l’omonima serie televisiva. Ci racconta della sua graphic novel ispirata alla misteriosa storia legata alla Cia del pittore americano Jackson Pollock.

Qual è il suo legame con Bari?  

“Bari è la città della mia infanzia e prima giovinezza, ma ho dovuto lasciarla a vent’anni andandomene a studiare a Bologna per realizzare il mio sogno di diventare fumettista. All’epoca purtroppo non esistevano molte possibilità per chi voleva intraprendere questo mestiere. Ma oggi il panorama è nettamente migliorato.”

Com’è nata la passione per il fumetto? 

“È stato mio padre il primo a farmi innamorare della narrazione per immagini, mi regalava spesso albi a fumetti e libri. Anche se poi un po’ si è pentito di averlo fatto, perché è stato anche il motivo che mi ha portato ad allontanarmi da casa.”

Lei predilige uno stile asciutto e lineare, non disdegnando l’utilizzo del digitale, quali sono stati i suoi modelli?  

“Magnus innanzi tutto, che disegnava il celebre Alan Ford, poi adoravo il grande Andrea Pazienza, per restare in ambito pugliese, ma negli anni ‘70/80 sono stato anche molto influenzato dalla lettura dei fumetti americani, dai supereroi della Marvel, sia per le storie che per il colore e l’aspetto visivo. La mia sintesi, parlando di colore, deriva da lì.”

L’arte moderna le piace anche nelle sue forme più estreme?  

“Sì, ho studiato pittura in accademia e mi piace l’arte moderna anche nelle sue forme più estreme, per esempio l’arte di Cattelan. Credo che in un certo senso siano l’espressione più estrema del rifiuto dell’arte, portando all’esagerazione l’antica linea di Duchamp, oggi fenomeno a livello ormai globale, che si ripercuote e rivolge anche ad ambiti non artistici. Apprezzo particolarmente anche un certo filone di contemporanei cinesi che operano negli Stati Uniti e che lavorano sulla modificazione del corpo e sul virtuale.”

Parliamo della sua graphic novel sulla vita di Jackson Pollock, cosa l’ha affascinata della storia di questo grande artista?

“Ho scelto di lavorare su una biografia a fumetti di un espressionista astratto tra i più affascinanti per me, la sfida era quella di riuscire a circoscrivere un artista di ‘grandi dimensioni ‘ come Pollock nello spazio delimitato della narrazione fumettistica, e lavorare su questo significativo contrasto ; lui che era gestuale e  informale da un lato, e dall’altro il  fumetto che segue comunque uno schema molto razionale e consequenziale per necessità narrative insite in questo sistema di racconto. Pollock e la storia del suo talento bruciante mi hanno travolto, avvolta in questo mistero che coinvolgeva la CIA poiché era stato scelto dai servizi segreti come la figura artistica rappresentativa da opporre in quegli anni al realismo  socialista. Quindi divenne l’artista di punta della nuova arte americana spostando completamente l’assetto mondiale della tendenza artistica. Da quel momento l’arte Moderna più innovativa non fu più prerogativa europea ma divenne sostanzialmente l’America.”

Qual è stata la difficoltà maggiore del narrare queste vicende?

La difficoltà maggiore non è stato tanto raccontarla, né disegnarla. Perché la storia si presentava già con tutti gli elementi necessari: credo di essere riuscito a bilanciare la figura del Pollock artista con le vicende politiche che le gravitavano intorno e a trasmettere la magnificenza della sua opera pur nei limiti dimensionali della narrazione a fumetto. La sua vita raccontata senza peli sulla lingua attraverso gli occhi di questo agente segreto, dovendo stare anche molto attento a tutti i problemi di copyright.”

Sappiamo che la seguitissima serie televisiva dell’ispettore Coliandro nasce dai suoi racconti a fumetti. Com’è nato questo personaggio? 

“Lavoravo all’epoca per la Granata Press, casa editrice di Bologna, e leggendo alcuni racconti di Carlo Lucarelli mi venne in mente di trasporli a fumetti. Fu un esperimento riuscitissimo.”

La serie televisiva conserva la stessa vena ironica della storia a fumetti originale? 

“In realtà per molti aspetti era diversa: Coliandro era un personaggio un po’ più estremo, duro e avventuroso. Raccontavo di Bologna, quella che i miei occhi di allora vedevano. Infatti mi immedesimavo moltissimo nel personaggio. Nelle mani dei Manetti poi è diventato più comico, morbido e divertente.”

Qual è secondo lei la più grande pecca del fumetto italiano? 

“Forse il suo provincialismo rispetto al resto del mondo. Poca produzione nostra e troppe traduzioni di fumetti stranieri. La scuola italiana del fumetto è rimasta un po’ troppo indietro nei confronti di certe istanze. Si lavora ormai prevalentemente per l’estero. Non abbiamo ancora una dignità da attribuire al fumetto che invece viene attribuita altrove.”

 Il maggior pregio invece?

“Una solida tradizione per quanto concerne l’aspetto visivo e sperimentale. Che però i limiti di cui parlavamo non permettono di valorizzare al meglio.”

 

Rossella Cea


Pubblicato il 4 Maggio 2021

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