Sul “caso Bari” riunito il Comitato per l’ordine e la sicurezza, relazione al Ministero
Il rischio scioglimento del Comune suscita nervosismo e preoccupazione nel Palazzo del potere cittadino interessato dalle ombre di eventuali intrecci tra politica, imprenditoria e criminalità organizzata locale
Si è svolto nella tarda mattinata di ieri a Bari, in Prefettura, la riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica che precederà l’invio al Ministero dell’Interno, da parte del prefetto Francesco Russo, della relazione sulle conclusioni della Commissione d’accesso che, da marzo a settembre, ha esaminato gli atti ed audito alcuni funzionari ed amministratori del Comune e delle aziende partecipate, per scoprire se possono essersi verificati possibili condizionamenti sulla gestione dell’Ente barese di corso Vittorio Emanuele e sulle partecipate comunali, dovuti ad eventuali infiltrazioni della criminalità organizzata, a livello politico-burocratico, all’interno dell’Amministrazione cittadina. Alla seduta di ieri del comitato ha partecipato (come prevede la legge Antimafia per tal genere di procedura) anche il Procuratore di Bari, Roberto Rossi, insieme al questore Massimo Gambino, al comandante provinciale dei carabinieri Gianluca Trombetti e al comandante provinciale della guardia di finanza Pasquale Russo. Il primo a uscire dalla Prefettura, alla fine della riunione, è stato il procuratore Rossi che, come previsto dalla cita legge Antimafia del 1991, alla luce di quanto riferito dal Prefetto e quanto riportato della relazione della Commissione ministeriale di accesso agli atti, è stato ascoltato dai componenti del Comitato provinciale per la sicurezza e l’ordine pubblico, per esprimere un parere, però non vincolante per la relazione del Prefetto e, quindi, per la decisione amministrativa del Viminale. Infatti, dopo l’invio della relazione del prefetto Russo al Viminale, il ministro Matteo Piantedosi, sulla base di quanto risulta dagli atti della Commissione d’accesso e di quanto proporrà il Prefetto, avrà tre mesi di tempo per decidere se archiviare la pratica oppure proporre al Consiglio dei ministri la delibera di scioglimento dell’Amministrazione cittadina in carica, con decreto a firma del Capo dello Stato e, conseguentemente, commissariare il Comune. Commissariamento che, per le ragioni innanzi dette, per legge potrebbe avere una durata non inferiore a 18 mesi e non superiore a 36 mesi, in base alla gravità dei fatti eventualmente riscontrati dalla Commissione d’accesso agli atti. Ai sensi dell’articolo 143, comma 5, del Tuel (Testo unico sull’ordinamento degli enti locali) sono possibili anche soluzioni intermedie. Infatti, nel caso in cui fossero stati rilevati solo collegamenti tra l’apparato burocratico dell’Amministrazione e le organizzazioni criminali, ma non con i politici presenti nell’Ente, potrebbe essere evitato lo scioglimento del Consiglio, adottando “ogni provvedimento utile a far cessare immediatamente il pregiudizio in atto”. Quindi, ancora poche settimane e si saprà se l’Amministrazione comunale di Bari verrà sciolta per infiltrazioni mafiose o meno, oppure se saranno commissariate solo uno o più aziende partecipate, o se più semplicemente la vicenda sarà archiviata. In base di ciò che sarà deciso dal ministro Piantedosi, ci sarebbero poi delle conseguenze sul piano elettivo (incandidabilità) sia per i vertici politici comunali in carica che per quelli che li hanno preceduti nell’ultimo quinquennio, qualora fosse disposto lo scioglimento del Consiglio comunale. Infatti, va innanzitutto precisato che la delibera governativa di scioglimento può essere impugnata davanti al Tribunale amministrativo territorialmente competente, ovvero il Tar-Lazio, con eventuale richiesta cautelare di sospensiva della misura. Le decisioni di quest’ultimo potrebbero, a loro volta, essere contestate e sottoposte in appello al Consiglio di Stato. Sta di fatto, però, che difficilmente il Ministero degli Interni, in analoghi casi di scioglimento, è stato smentito dai giudici amministrativi, poiché il provvedimento adottato è quasi sempre ben motivato, avendo alla base quasi sempre fatti ed atti incontrovertibili. Ma ciò non toglie che la decisione è comunque impugnabile. Per la cronaca, ricordiamo che a dare avvio all’indagine ministeriale, con la nomina della Commissione di accesso agli atti sull’attività dell’amministrazione barese a gestione Decaro, è stata l’inchiesta giudiziaria denominata “Codice interno” della Dda e della Squadra Mobile di Bari, che lo scorso 26 febbraio ha svelato i presunti intrecci d’affari tra mafia, politica e imprenditoria cittadina. Come è noto, tra i 130 arrestati figurava anche l’ex consigliere regionale Giacomo Olivieri e la moglie Maria Carmen Lorusso, consigliera comunale eletta nel 2019 nelle fila dell’opposizione e subito dopo confluita nella maggioranza dell’allora sindaco Antonio Decaro (insieme ad un’altra consigliera, Francesca Ferri, arrestata anch’essa qualche anno prima, perché coinvolta anch’ella in presunti voti di scambio). L’inchiesta “Codice interno” – come si ricorderà – ha anche portato al commissariamento giudiziale dell’Amtab spa, ossia dell’Azienda comunale barese per trasporto pubblico cittadino, in cui risultavano assunte diverse persone legate ai clan (soprattutto del quartiere Japigia), poi licenziate. Al termine della seduta di ieri del Comitato per l’ordine e sicurezza pubblica, tranne il procuratore Rossi che ha affermato: “Non posso fare dichiarazioni perché questa è una fase riservata, direi addirittura segreta, dal punto di vista amministrativo”, nessun altro dei partecipanti all’incontro, a partire dal prefetto Russo, ha rilasciato dichiarazioni sul contenuto o sul semplice svolgimento della riunione. E il silenzio della Prefettura sull’argomento ha causato una nota congiunta dell’Ordine dei giornalisti e dell’Asso-stampa della Puglia in cui, tra l’altro, si afferma: “Nonostante le ripetute richieste di un confronto per avere informazioni anche su un eventuale punto stampa al termine dei lavori, la Prefettura ha ritenuto di non rispondere con grave pregiudizio del diritto-dovere di informazione”, perché “privare i giornalisti di una fonte fondamentale quale può essere una conferenza stampa è una gravissima violazione del diritto di cronaca che impedisce di informare correttamente i cittadini di quanto accade”. Di certo c’è, però, che a Bari è la prima volta che su una vicenda alquanto delicata ed importante non ci sono state finora né indiscrezioni attendibili, né fughe di notizie, ma solo ipotesi.
Giuseppe Palella
Pubblicato il 7 Novembre 2024