Cronaca

Sull’accordo tra Fiera di Bari e Bologna vigili il governo

C’è chi non si dà per vinto, a Bari, sull’affaire Fiera del Levante-Fiera di Bologna, suggellato la settimana scorsa dall’assemblea dei soci della fiera emiliana. E così, mentre si dà per imminente la costituzione della ‘newco’ Fiera del Levante Srl per la gestione dell’ente fieristico barese per i prossimi sessant’anni, il deputato L’Abbate (Movimento 5Stelle) torna ad interrogare il Governo Gentiloni sull’intero procedimento di “privatizzazione”. Nel mirino, dunque, l’iter della cosiddetta “privatizzazione” della società che gestisce la storica Campionaria barese, dopo anni di stallo, un procedimento che adesso sembra procedere speditamente. Nei prossimi giorni, difatti, è prevista la firma dell’atto notarile per la costituzione della ‘newco’ che dovrà gestire per oltre mezzo secolo il quartiere fieristico di Bari, la “Fiera del Levante Srl” detenuta all’85% dalla Camera di Commercio di Bari (ma apparentemente disponibile a far entrare eventuali privati) e al 15% da Bologna Fiere. Durante la Campionaria di settembre, invece, sarà siglata la convenzione come da invito del Sindaco di Bari Antonio Decaro al suo omologo bolognese Virginio Merola. Dal prossimo ottobre, poi, la newco guidata da Alessandro Ambrosi, numero uno della Camera di Commercio, prenderà in gestione la Fiera del Levante. “Tutto ciò senza che esista un piano industriale con le azioni che si intendono mettere in atto per il tanto atteso rilancio futuro della Caravella – dichiara il deputato pugliese Giuseppe L’Abbate (M5S) – e senza che si sia ancora compreso se il procedimento in corso sia in linea o meno con le normative nazionali previste sia per le Camere di Commercio sia per le società a partecipazione pubblica. Su questa operazione avevamo chiesto lumi al Governo Renzi già nell’autunno 2015, senza ovviamente ricevere risposta nonostante i numerosi solleciti. Lo scorso dicembre – prosegue L’Abbate (M5S) – alla luce dell’entrata in vigore della riforma Madia nonché del parere del collegio dei revisori dei conti della Camera di Commercio di Bari, ho interrogato i ministeri della Funzione Pubblica, dello Sviluppo economico e dell’Economia per chiedere un’opportuna analisi, in conformità con le nuove disposizioni in materia. Oggi, che tutto viene dato per scontato – conclude il deputato pugliese 5 Stelle – rinnovo la richiesta al Governo Gentiloni di una verifica della procedura di ‘privatizzazione’ depositando una nuova interrogazione parlamentare. Dinanzi ad una operazione di tale portata, i ministeri interessati non possono continuare a rimanere silenti”. Una fusione tra alti e bassi per diversi mesi, quella delle fiere di Bari e Bologna, dopo che per settimane e settimane, con particolare intensificazione a fine 2016, si erano susseguiti gli incontri tra manager e rappresentanti delle due parti. E ora, concluso il matrimonio, vengono a galla i nodi con le varie promesse prematrimoniali, se così si può dire, mutate, svanite e infine riemerse nel tempo. I sospetti di moti o, se preferite, le difficoltà maggiori, arrivano dal capoluogo emiliano, entrato in crisi profonda dopo le prime avvisaglie dell’estate scorsa, problemi legati alla gestione del personale. Più o meno come a Bari, con i problemi infiniti collegati ai dipendenti ancora in servizio presso la Fiera del Levante di Bari: tra scadenze di contratti di solidarietà e multisala coi lavori sempre più a singhiozzo che dovevano servire proprio a sfoltire parte del personale della fiera barese, non hanno praticamente condotto a nulla di concreto. Ma come detto anche nel capoluogo emiliano il prezzo della crisi si sta facendo altissimo, messo nero su bianco dai vertici di Bologna Fiere e spedito sotto forma di redigendo piano industriale ai rappresentanti dei lavoratori. E c’è poco da discutere, anche se di questo documento in realtà non esiste traccia, visto e considerato che almeno il piano industriale dell’expo bolognese entro il 2019 ipotizza di dimezzare le ore lavorative, passando dalle attuali 119mila a 66mila. È un taglio netto del 45% nel giro di un triennio, roba da far stramazzare al suolo anche una società solida e formata da tante società private di prestigio, com’è quella che controlla il pacchetto delle quote di Bologna Fiera. Insomma, per gestire manifestazioni ed eventi in futuro servirà quasi la metà del tempo e della forza lavoro rispetto a quella in servizio, quindi traballa visibilmente il costo del lavoro, come informano abbondantemente gli organi di stampa locali, a Bologna. Scatenando, inutile dirlo, la rabbia di chi già a settembre 2016 aveva usato le maniere forti per farsi ascoltare dai vertici che anche a Bologna, secondo le informazioni che rimbalzano da queste parti, punta tutto sui tagli di forza lavoro, per risparmiare. Insomma, il primo canale di spesa da alleggerire sarebbe strettamente collegato alla “riduzione delle ore necessarie alla gestione del quartiere”. E ci sarebbe già un elenco di sezioni nel piano industriale che permetteranno alle società che gestiscono la Fiera di Bologna di sfoltire i costi sostenuti: dalla cancellazione dei turni extra-manifestazioni per biglietterie e addetti agli ingressi fino all’eliminazione dei “nastri orari e differenziazione ore turni”. Un vero ‘cajeur de doleance’ che ha messo quasi in ginocchio l’ente di gestione emiliano, costretto a diminuire drasticamente la quota di partecipazione al nascente patto appulo-felsineo, lasciando campo libero alla Camera di Commercio di Sandro Ambrosi, socio di maggioranza.

 

Francesco De Martino


Pubblicato il 3 Agosto 2017

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