Sull’aspro Gargano la tragedia
Nel suo ‘Cristo si è fermato a Eboli’ – ispirato dall’esperienza di confino vissuta tra il 1935 e il 1936 – Carlo Levi fa di Grassano, prima, e di Aliano, dopo, le espressioni architettoniche e sociali di un Mezzogiorno arcaico, cristallizzato nel tempo, invulnerabile alle lusinghe del progresso e allo scorrere della Storia. Altrettanto fa con Monte Sant’Angelo, senza però nominarla, Ferdinando Maria Poggioli, regista di ‘La morte civile’, un film girato da noi nel 1940 e distribuito solo nel 1942 e tratto dall’omonimo dramma scritto da Paolo Giacometti nel 1861. Sul grande schermo Monte Sant’Angelo assurge a topos di un Meridione imprecisato, coevo e molto prossimo a quello ritratto da Levi. ‘La morte civile’ è un drammone “moralmente claustrofobico”, come a qualcuno è piaciuto definirlo, che attinge a piene mani dal feuilleton e anticipa i melò matarazziani. Non di meno è un buon film, affatto lineare o prevedibile. Poggioli non perde occasione per cogliere interessanti spunti etnografici (su tutti, la processione dei fedeli verso il Santuario di San Michele Arcangelo). In questo modo, di tanto in tanto, senza strafare, un certo colore documentaristico intervalla una narrazione sempre equilibrata, che si avvale di buoni dialoghi. Il Gargano ritratto da Poggioli manda di aspro e d’arsura e di controra assolata, senza per questo scadere nello stereotipo. Nella parte dello sfortunato pittore omicida, Carlo Ninchi si conferma interprete sempre a suo agio col dramma, che gli permette di sfoderare la robusta formazione teatrale. Nel n° 258 del 1943 di ‘La Cine-Fono’, un periodico di cinema stampato a Napoli, Guerzoni scrive : “E’ doveroso riconoscere che la pellicola è accurata e buona rispetto alla commerciabilità, che fotograficamente è una bella cosa.” Degno di nota un altro commento scovato in Rete e purtroppo anonimo : “ Fin da marmocchi sentimmo nominare ‘La Morte civile’ come un grande spettacolo e il nome del commediografo Paolo Giacometti risplendeva in famiglia più luminoso di quello di Petrarca o Leopardi. Poi si diventò grandi, e ciò che non si era visto da piccoli, perché pauroso e terribile, lo si evitò da adulti per una buona norma di igiene mentale. La verità è che noi, Giacometti, lo conosciamo soltanto per un brutto busto che orna l’atrio di un piccolo teatro nella città dove siamo nati ; e una sera, Dio ci perdoni, qualcuno della nostra compagnia, che aveva bevuto, scagliò un bicchiere di spumante sul naso di quel popolare e innocente scrittore”
Italo Interesse
Pubblicato il 21 Settembre 2019