Cultura e Spettacoli

“Sull’incudine affilo la penna”

Mentre nelle orecchie avevamo cronache drammatiche relative al più acuto momento di crisi della patria greca dai giorni dell’invasione nazifascista, giungeva da Castro una di quelle nuove che ti allargano il cuore : Nel centro storico di quella cittadina è stata rinvenuta un’imponente statua femminile risalente all’era preromana. Con ogni probabilità è la raffigurazione della Minerva che si adorava nello stesso tempio dove Enea, in viaggio verso le rive del Tevere, si fermò a pregare, come canta Virgilio nel libro III dell’Eneide. Una notizia che strappa il diaframma fra storia e leggenda e con forza accresciuta fa echeggiare le voci di Omero, Esiodo, Plutarco, Pausania. Coincidenze ‘elleniche’, che non si fermano qui. La settimana scorsa venivamo in possesso di ‘Versi a Teocrito’ (Progedit, collana Marsia), un intenso poemetto tradotto anche in greco, inglese, tedesco e russo a firma di Anna Santoliquido. Frutto delle suggestioni di un viaggio nell’antica Grecia, la breve composizione (ventiquattro quartine) che tra l’altro si fregia della prefazione di Ettore Catalano,  è un tuffo nel mito. E forse qualcosa di più. C’è nell’animo di ognuno come un sensore in grado di captare echi anche più antichi della propria persona. Nei più è dormiente.  Nei pochi fortunati in cui è attivo può innescare picchi emotivi di intensità vertiginosa. Picchi che durano un lasso brevissimo (se prolungati sarebbero insostenibili), tuttavia sufficiente a inseminare i sempre fecondi campi dello spirito. ‘Versi a Teocrito’ è figlio del rapimento di una donna dinanzi al carisma di pietre millenarie, pregne della gloria delle Muse e degli Dei dell’Olimpo. Il rapimento accende un’ansia irresistibile di poesia. Ma per dare la stura a questa febbre serve aiuto. La poetessa invoca Teocrito, il quale sembra invece nascondersi. Comincia allora una caccia all’uomo : “ti stanerò / sul Pindo o in Tessaglia… ti troverò / dovessi scendere nell’Ade”. L’inseguimento (non casualmente improduttivo), evolve in percorso iniziatico. Una neofita si appresta a varcare la soglia fatale del santuario: “bagno le mani nell’Arachtos… lascio le scorie.. mi purifico come Pizia / poi vado nell’antro”. E nell’antro dove  Sibilla profetizza  ecco “… le Grazie / i Dioscuri a cavallo / i corpi nudi  di Cleobi e Bitone / e cariatidi pegasi grifoni!…”. Infine il sacrificio si compie : “ho masticato alloro / e inalato i fumi della caverna / il vaticinio risuona nella mente / non so se sono donna / le metamorfosi si susseguono / ho Saffo al fianco /e stuoli di Serafini sulla testa”.  Meno di cento versi per non smarrire memoria, qui a Mezzogiorno più che altrove, delle radici nobili quanto remote della nostra diversità.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 14 Luglio 2015

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