Cultura e Spettacoli

“Tarantolò come il più semplice villanzone di Puglia”

Epifanio Ferdinando racconta che a Polignano, nel Seicento, fu vescovo Giovanni Battista Quinzato, un milanese il quale venendo da “una provincia subalpina immune da questi morsi”, credeva affatto alla storia del morso della tarantola e dei rimedi ‘coreutici’. E poiché “nell’affare  de’ balli, ne le musiche provocanti” vedeva solo il Maligno, si adoperava dal pulpito per sconfiggere l’ignoranza dei fedeli. Ma senza ricavo.  Un giorno di luglio, quando ebbe “vuotato il sacco delle giaculatorie e de gli scongiuri, esaurita la vena de le omelie e de le pastorali”, pensò di ricorrere ad una prova “terminativa e buona a  tagliar corto e farla finita col malvezzo pugliese”. Così, in presenza “de’ suoi capitolari e de’ maggiorenti del paese” si fece “appiccicare” dal suo barbiere, “come un largo sanguisugio”, un canestro di “ragni ottogambe… di quelli reputati più malvagi”. “Gli astanti strabiliarono… lui calmo e sorridente come Daniele nella fossa! ma passò l’angelo, dice il nostro popolino, e disse amen”. Dopo qualche minuto Monsignore comincia a stare male : “alquanto turbato chiede lenimenti e s’adagia sul letto”. La Curia va in subbuglio, sono convocati medici, ma non c’è balsamo o tisana che tenga. “Succedono spasimi e pel resto del giorno e la notte appresso i dolori anzi che diminuire si fanno atroci, sopravvengono strozzamenti, deliqui, furori e il malato fa a sbrendoli le lenzuola… il Reverendo tarantolò come il più semplice  villanzone di Puglia a tutto scapito, s’intende, dell’ambrosiana sua austerità”. Se non balla, muore! bisbigliano “i monelli, le vecchie tarantolate… il contadiname, gli sfaccendati… la cittadinanza stette assembrata come alla vigilia di una rivolta”. Ma il Vescovo teneva duro. Infine, quasi a un passo dalla morte,“albescente il terzo dì, motu proprio, raccolte le poche residuali forze vitali, levatosi di letto disse : suonatemi!”  Un chierichetto di qua col piffero, di là un frate conventuale di San Vito a Mare con la mandòla improvvisarono un’orchestrina.  “Trovato l’accordo simpatico, il presule, ritto come un pino, si mise a prillare in punta, punta e tacco, a spiccar salti come un giovane cavriolo, su e giù per la vasta  sala de l’episcopio, braccia tese in alto e dita schioccanti”. E più l’orchestrina dava dentro, “più lui piroetta, allaccia scambietti a mezz’aria”. Nell’aria torrida il pover’uomo “gocciolava com’uno uscito dal pelago alla riva, metteva sbuffi come un balenottero”. Immediatamente dopo “la scalmanata” il Reverendo si riebbe “e da qual giorno nefasto tenne in alto conto il malvezzo pugliese”.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 7 Aprile 2017

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