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Totò Lopez: “Catuzzi migliore allenatore del Bari, mentre Gianni Loseto incarna la baresità”

Questa volta dalla location di mare nel centro barese, “Pescerì” della famiglia Gervasi, in collaborazione con “Barimania Estate” abbiamo intervistato in esclusiva un numero dieci di altri tempi, la sua un’ottima visione di gioco, un controllo di palla come pochi altri, fantasia ed estro ma soprattutto uno che dava l’anima sempre che non a caso è stato capitano, non solo con la maglia del Bari, ma anche con quella del Palermo e del Taranto, ed è stato sempre un leader dovunque abbia giocato. Stiamo parlando del regista col baffetto che ha militato anche nella Lazio del compianto Tommaso Maestrelli, ovvero di Totò Lopez, un barese doc, nato nel 1952 che a soli diciannove anni esordiva lanciato da mister Lauro Toneatto con la maglia del suo Bari, appena nel 1971. Con la maglia del Bari, ha disputato 4 stagioni, in due periodi diversi della sua carriera, 88 presenze arricchite da sei gol, più due preziosi in Coppa Italia nell’anno in cui venne battuta la Juventus di Platini. Tante le tematiche toccate durante l’intervista ed i messaggi lanciati dal numero dieci che anche a carriera concluso, quando è stato intervistato o ha fatto l’opinionista ha parlato senza filtri e senza ingraziarsi la benevolenza del presidente di turno, come hanno fatto altri personaggi in cerca di gloria o di un posto nella società del loro cuore. Alla chiacchierata con il regista barese presenti anche un tifoso e presidente dell’Associazione Giovanni Tiberini 1908, eod Gallo ed il presidente di Barimania, Tonio Lucatorto.

Hai esordito con il secondo tecnico della storia del Bari con più presenze, Lauro Toneatto, definito dai più critici, l’artefice del catenaccio, ma a lui devi tanto e alla prima stagione tra i professionisti dei tre gol realizzati, uno su tutti ci piacerebbe che ci ricordi, quello realizzato allo stadio Pino Zaccheria di Foggia, in una partita che terminò 2 a 2?

“Si, verissimo devo tanto a mister Toneatto ma anche al presidente e professore Angelo De Palo, che amava dire sempre: “Meglio la giungla del calcio che quelle delle faide universitarie”. Il Professore e presidente De Palo mi volle fortemente in Prima Squadra, tra l’altro successivamente è stato anche il ginecologo di mia moglie, una persona squisita che ha fatto sacrifici enormi per mantenere la squadra a certi livelli. Tornando al mio esordio, mister Toneatto credeva in me, non a caso feci 26 presenze e 3 gol. In squadra avevamo Mujesan, anche se alla sua ultima stagione, e giocatori come Mario Fara, Pasquale Loseto ed il sottoscritto che riuscì a ritagliarsi uno spazio importante, poi l’anno dopo non rientravo nei piani tecnici di Carlo Regalia che era subentrato al suo posto. Tuttavia, la partita con il Foggia aprì le marcature con un gol dei miei, Marmo raddoppiò, ma nel finale accorciarono prima le distanze e poi il grande Peppino pavone, divenuto in seguito un grande diesse, segnò a cinque minuti dal termine in uno stadio che era una bolgia. Segnai anche contro Catania e Monza, contro questi il mio gol, fu il “la” ad una serie di risultati positivi inanellati”.

Bari-Pescara spesso è stata ed è tutt’oggi una sorta di Sliding Doors per molti giocatori del Bari che prima hanno vestito la maglia biancorosso e poi quella biancoblu. E’ avvenuto per Edy Bivi, Giorgio De Trizio, ma tantissimi altri potremmo citarne, compreso te Totò. Io ricordo una partita in particolar, il 16 giugno 1985 molti baresi rinunciarono al loro pranzo domenicale per correre a sostenervi al “Della Vittoria”, come terminò quella partita memorabile e negli almanacchi della storia del Bari? E che ricordo hai, invece, delle tue stagioni importanti in cui hai giocato allo stadio “Adriatico, intitolato alla memoria di Giovanni Cornacchia”?

“Come non ricordarsi quella giornata afosa, con tanti baresi che ci incitavano. Io ero il capitano di quel Bari, Gianni Loseto, Giorgio De Trizio, Francesco Cuccovillo, dietro avevano fatto la linea Maginot, non passava nulla anche se il Pescara partì meglio. A noi serviva la vittoria ed il Della Vittoria era il nostro catino. Nella ripresa prima Bivi e poi Bergossi realizzarono i gol che ci diedero la promozione, io ricordo di aver trascinato quel Bari ed anche in quei gol c’era il mio zampino. Eravamo un gruppo unito, dai ritiri dove si scherzava e quando si scendeva in campo, eravamo dei leoni e non importava contro chi si giocava, il gruppo dei baresi di quel Bari rappresentava il cuore pulsante e trascinava tutti gli altri a centrare i successi. Con la maglia del Pescara ho bei ricordi, mi sono affermato, segnato parecchi gol e ricordo su tutte le partite quando andammo a giocare in occasione della Coppa Italia, all’Olimpico contro la Lazio che poi avrebbe vinto lo Scudetto, feci un ‘ottima impressione a Tommaso Maestrelli, e fui lui a portarmi a Roma”.

Tommaso Maestrelli che da giocatore ne ha fatte dodici di stagioni con il Galletto mentre da allenatore fu sfortunato nel 63/64’ perché assunse la guida del Bari a sei partite dalla fine, non è riuscito ad evitare la retrocessione in B. Ebbe modo di rifarsi, e fu il primo a vincere uno storico scudetto con la Lazio. Lui, insieme a mister Corsini, ti volle, ed a Roma hai passato cinque stagioni intense con Chinaglia, Giordano, le tragedie di Re Cecconi e Maestrelli e lo scandalo totonero. Raccontaci?

“Tommaso Maestrelli, mi scende una lacrima mentre pronuncio quel nome. Aveva una cultura di calcio che era il suo pane quotidiano. Quanti consigli mi ha dato, vederlo poi andarsene così, mi ha fatto male. Arrivai in una Lazio che aveva vinto lo scudetto, per chiunque rappresentava un sogno, però non era tutto rose e fiori, ci furono delle difficoltà, mister Corsini non riuscì forse a motivare a dovere alcuni giocatori che forse erano arrivati e ci ritrovammo a lottare per non retrocedere. La tragedia di Re Cecconi, un ragazzo dalla folta chioma bionda che amava sua moglie e suo figlio, con un carattere scherzoso, quel giorno in quella gioielleria insieme a Pietro Ghedin, voleva fare uno scherzo, ma il suo gesto di mimare con le mani la pistola fu mal interpretato. Ghedin ebbe la prontezza di salvarsi, per lui non ci fu verso. E’ stato raccontato e scritto tanto, certo la sua morte va circoscritta in un contesto di violenze in quegli anni e per di più nella Capitale. Sono sicuro che avrebbe fatto parte della spedizione azzurra al Mundial vinto nell’82’. Sicuramente la morte di Re Cecconi segnò quella squadra. Il toto nero? Ricordo, ancora, quel 23 marzo, io ero squalificato ed in tribuna, quel 23 marzo 1980 vennero arrestati, massimo Cacciatori, Lionello Manfredonia e già negli spogliatoi Pino Wilson, uno di questi infortunato sedeva a pochi metri da me. Il resto è storia”.

Subito dopo la Lazio, la tua carriera è proseguita nel Palermo seppure in serie B hai disputato tre stagioni ad alti livelli, sfiorando anche la promozione in A e realizzando ben otto reti. Oltre ad aver giocato con Luigi De Rosa, De Stefanis, hai avuto anche un certo Gian Piero Gasperini, intravedevi in lui le capacità di leader e che da tecnico sta evidenziando con il bel gioco?

“A Palermo ho disputato altre buone stagioni, sfiorammo la A e vinsi anche il premio il Guerin d’Oro. Su Gasperini, lui era un centrocampista molto offensivo, nato per essere un leader anche se io ero il capitano di quel Palermo. Lui in ogni caso, già impartiva indicazioni tattiche al resto del gruppo. Visione di gioco, ma non solo a livello tattico era già preparatissimo. Penso che avrebbe meritato una chance con la Juventus che ha iniziato da tecnico delle giovanili e che con l’Inter non abbia avuto neanche il tempo di mettersi in mostra. La carriera che sta facendo parla in suo favore, dal gioco offensivo, l’Atalanta è stata la squadra che ha segnato più di tutte, ben 77 reti ed ha conquistato il terzo posto e sfiorato la vittoria in Coppa Italia, ma soprattutto sa valorizzare i giovani. Concludo affermando che è uno dei tecnici italiani più emergenti e merita una grande chance in un club di prima fascia”.

Facendo un salto, post carriera, hai ricoperto anche un ruolo da osservatore nella Lazio di Lotito e sei stato anche il direttore del ristorante del Foro Italico. Ti chiedo, però, inoltre se ricordi una partita in cui, so per certo, in quanto ero presente in curva sud all’Olimpico, dove il Bari batté la Lazio per 2 a 0, e Gillet parò anche un rigore a Kolarov al minuto 77’, da ex di entrambi che ricordo conservi?

“Partendo dalla prima domanda: si ho ricoperto il ruolo di osservatore per Lotito per un anno. Vi posso dire che è un presidente che ama il suo club, è presente sempre e lo vive a trecento sessanta gradi, forse fin troppo e dovrebbe lasciar fare di più ai suoi fidati dirigenti. La tifoseria laziale dovrebbe essergli maggiormente grata perché ha sempre avuto i conti all’attivo, ha fatto vincere anche dei trofei ed ha rivalutato grazie ad un diesse di alto livello quale Igli Tare tantissimi giocatori, vendendoli poi a cifre pazzesche. Inoltre, uno degli aspetti che più mi piace è che è uno ha sempre tenuto alle bandiere ed ai giocatori che hanno indossato la maglia della Lazio, ed ogni volta che sono a Roma, è sempre stato amichevole e cordiale. Quanto al primo Bari di Ventura che ti riferisci, se la memoria non mi tradisce era marzo 2010, la data non la ricordo – ndr – e per il Bari segnarono Almiron ed Alvarez, ero in Tribuna d’Onore. Così come mi ricordo dello stesso anno l’invasione dei baresi contro la Roma di Totti, il ristorante al Foro Italico era popolato di baresi quel giorno, il Bari perse ma fece un partitone. Penso che mister Ventura, dopo Catuzzi, abbia proposto il calcio più bello, peccato non sia riuscito ad approdare ad una qualificazione Uefa in quella stagione. Ti citavo, Catuzzi, perché penso che lui sia stato il primo innovatore del calcio totale, prima ancora di Sacchi in Italia, faceva giocare il suo Bari a memoria con degli schemi che l’avversario pensava di affrontare 15 giocatori. Mister Catuzzi avrebbe potuto fare anche una carriera migliore, ma con la Primavera del Bari vinse la Coppa Italia battendo Alberigo Evani oltre ad avere il merito di essere stato il primo a fondare il Bari dei Baresi”.

Impossibile non ricordare l’8febbraio 1984 quando il Bari ha sbancato il “Delle Alpi” ed interrotto la corsa alla Coppa Italia perdendo in semifinale contro il Verona che poi si arrese alla Roma in finale?

“Quella fu proprio una stagione memorabile, dalla nostra promozione a quella Coppa Italia, dove non so se avremmo meritato di vincerla, ma sicuramente in finale contro la Roma avremmo dato l’anima come sempre e provato a fermarli. La Juve l’affrontammo prima nel girone di Coppa, poi la ritrovammo agli Ottavi, e lì feci uno dei due gol, importantissimi perché c’era il ritorno da disputare. Al ritorno il Della Vittoria era gremito quasi 40mila spettatori, noi passammo in vantaggio con l’immenso Messina, Platini e Tardelli, rimontarono ed ai supplementari sarebbe stata dura, specie ai rigori. Gianni e soci, dietro avevano alzato un muro e rendevano impossibile far effettuare tiri, grazie alla loro esperienza. Al novantesimo, tutto dovevo calciare un rigore davanti a 40mila, c’era il passaggio del turno, e da capitano ho preso quel pallone guardato Taccone ed infilato la palla nel sette. A fine partita venne Platini a farci i complimenti, mi inginocchiai di fronte al grande Leroy e lui mi chiese di scambiare la maglietta. Un ricordo che porto per sempre. Però, voglio raccontare un altro aneddoto che non tutti sanno, con la Fiorentina, all’andata ci imponemmo ed a fine partita mi si avvicinò Daniel Passarella e disse “A ritorno non si passa, lasciate le penne!”. Gianni, subito si avvicinò e disse in dialetto cosa avesse detto. A ritorno al Franchi, dopo quaranta secondi, proprio Passerella fece un intervento che mi scaraventò e prese il giallo, e Gianni Loseto, De Trizio e tutti gli altri corsero verso l’arbitro e Passerella, a dire che non si doveva più permettere. Dopo il vantaggio proprio dell’argentino, ci pensarono Totò Guastella e Acerbis a regalarci la qualificazione. Con il Verona siamo stati sfortunati, ma Jordan lo stesso, ammise che avremmo meritato di più, storie di calcio”.

Da De Palo, a Vincenzo Matarrese e De Laurentiis, una carolina su questi tre presidenti?

“Su Angelo De Palo, ho già detto ha fatto più di quelle che erano le sue capacità finanziarie, un signore. Vincenzo, un grandissimo uomo, quasi un padre. Con lui avevo un ottimo rapporto, ed anzi vi svelo che mi aveva proposto di chiudere la carriera in biancorosso alle stesse cifre che percepivo con la possibilità di diventare dirigente al termine della carriera. Poi qualche signore suo collaboratore stretto, nonostante noi avessimo stretto un patto d’onore, se ne infischiò e mi cedettero al Taranto, dove non volevo andare ma sono grato a quella società per avermi dato la possibilità di chiudere la mia carriera. Su De Laurentiis, i risultati sono dalla loro parte, uniti al progetto che hanno avviato un anno fa. Non posso che augurare di riportare il Bari dove compete ed augurarmi che possano avere un ciclo duraturo. Ma faccio comunque un appello a tenere presente che il Bari dei baresi ha scritto pagine di storia, e Gianni Loseto meriterebbe una chance di ricoprire un ruolo all’interno, perché chi meglio di lui incarna la baresità. Gente come Ferri ha giocato in Nazionale, ti dico con massima onestà intellettuale che “Giuan” non lo vedeva proprio, ma non solo, posso dirvi che quando era a Bari ha rifiutato offerte dalla Roma e dall’Inter, non due club qualsiasi. Concludo con una nota di merito per un altro mio amico, Giorgio De Trizio, nuovo responsabile del settore giovanile della Sly United del presidente Danilo Quarto che sta investendo e portando avanti il suo progetto e sogno con ambizione e massima determinazione. Auguro anche a Luigi De Laurentiis di proseguire su quella falsa riga e di inserire un po’ di baresità all’interno della Ssc Bari”

Marco Iusco

 

 

 

 

 

 

 

 


Pubblicato il 28 Giugno 2019

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