Tra due mesi in aula le intercettazioni nel processo per il pizzo ai funerali
E’ cominciato da oltre tre anni dinanzi al collegio giudicante della Seconda Sezione Penale presso il Tribunale di Bari e riprenderà in autunno, precisamente il 3 ottobre prossimo, il processo a carico d’una cinquantina di persone – tra titolari di imprese funebri, infermieri necrofori e paramedici in servizio in ospedali e cliniche cittadine – con le accuse, a vario titolo, di concussione, corruzione, falsita’ ideologica e rivelazione del segreto d’ufficio. L’indagine, come si ricorderà, fu avviata a Bari a partire dal 2006, per il ‘pizzo’ che sarebbe stato imposto dagli operatori sanitari e dai titolari delle imprese funebri che operavano illecitamente negli ospedali. Secondo l’impostazione accusatoria, agli infermieri ed operatori sanitari che segnalavano in tempo reale l’avvenuto o l’imminente decesso di un paziente, le ditte inserite nel ‘circuito criminale’ concedevano un premio oscillante tra i 250 e i 650 euro a chiamata, in modo da evitare contatti tra i parenti dei deceduti e le imprese funebri concorrenti. E cosi’ la primavera scorsa il Gup presso il Tribunale di Bari Angela Rosa Nettis, su richiesta delle pm inquirenti Desirèe Digeronimo e Francesca Romana Pirrelli, ha deciso l’accertamento dibattimentale per vari titolari di agenzie funebri, addetti agli obitori del Consorziale Policlinico e Ospedale ‘San Paolo’ di Bari e ‘Di Venere’ di Carbonara con altre tre case di cura, ‘Mater Dei’, ‘San Giovanni’ e ‘Villa del Sole’. Interessante il giro d’affari accertato dagli investigatori al Consorziale di Piazza Giulio Cesare, che si aggirava sugli 80mila euro per poco più di 900 defunti, con una tecnica che partiva dagli addetti all’obitorio, che comunicavano in tempo reale ai proprietari e ai collaboratori delle agenzie i decessi. Coinvolti e seduti sul banco degli imputati, come detto, i titolari di sette imprese funebri (Santa Rita, L’Umanità, Pacucci, Iof, Humanitas, La Cattolica, Funeral Center, Rosa Porcelli e Abatantuono-Mitola), ma anche un medico del Policlinico, Donato Santobuono, che si sarebbe appropriato di materiale sanitario conservato nell’obitorio. Sempre secondo l’accusa, perfino il boss di Carbonara, Antonio Di Cosola, all’Ospedale Di Venere avrebbe imposto con le minacce la ditta per la quale era stato assunto. Una vera piaga, quella del pizzo per le cerimonie funebri a Bari, una piaga dura a morire visto che nonostante le indagini e i processi, non sono pochi i parenti a cadere ancora nel tranello teso dall’organizzazione criminale che agisce negli ospedali e case di cura baresi. Tanto da far ritenere ai parenti del ‘caro estinto’, affranti e deboli al momento della dipartita dei loro parenti, quasi un male necessario il versamento agli infermieri necrofori della “tangente” per evitare problemi ed intoppi nello svolgimento delle pratiche necessarie e successive al trapasso. Solo nelle tre cliniche l’anno scorso furono tratti in arresto una quindicina d’infermieri professionali, Per ogni ospedale barese, come conferma la contestazione del reato più grave dell’associazione a delinquere da parte dei pubblici ministeri inquirenti, c’ erano non una, ma diverse aziende di riferimento, in caso di necessità. Come detto all’Ospedale ‘Di Venere’ di Bari-Carbonara si scomodò perfino un boss del clan Di Cosola, alla fine del 2006 (ed è strato proprio dopo quest’episodio che da una intercettazione partirono gli accertamenti degli inquirenti), per imporre agli infermieri necrofori che avevano chiamato un’altra impresa funebre, la solita ditta. Fra due mesi i giudici ascolteranno un consulente tecnico che risponderà alle domande sulle intercettazioni telefoniche raccolta durante la lunga e laboriosa indagine.
Francesco De Martino
Pubblicato il 9 Agosto 2013