Cultura e Spettacoli

Travestimenti e Maschere, quanta differenza

A Carnevale è d’obbligo cambiare pelle, entrare in quella di altro personaggio, in qualche modo rinnegarsi e contraddirsi. Ci si ‘traveste’ allora da Puffo, Uomo-ragno o Batman e impropriamente si parla di maschere o, peggio ancora, di maschere moderne. Niente di più errato. Tecnicamente, ovvero ragionando in termini di Commedia dell’Arte, unico contesto culturale dove la parola Maschera meriti la maiuscola, questo termine identifica solo archetipi umani. Parlare di Maschere vuol dire parlare di ‘tipi’, ovvero figure antiche e universali che, comuni per segno caratteriale a contesti sociali differenti, furono in epoca remota prima messi a fuoco dal popolo e in seguito codificati con l’attribuzione di un ruolo da parte di interpreti e drammaturghi. La dignità di Maschera, pertanto, è il risultato di un lungo lavoro di sedimentazione culturale, che trova consacrazione soprattutto nel repertorio degli attori ambulanti, quegli eroi misconosciuti dell’arte scenica che calandosi nei tipi di cui sopra andavano a braccio sulla base di un canovaccio. Il repertorio della commedia fino a metà Settecento contemplava solo Maschere. Poi arrivò Goldoni con la sua riforma e poco a poco la Maschera perse la maiuscola. Si è così giunti a insignire di un titolo immeritato volgari travestimenti da festa della pentolaccia. Il peggio, poi, è che nel presente disordine di idee realtà comunali sgomitano per ‘reclamare’ la propria maschera. Numerosi comuni pugliesi, per esempio, pretendono che la Pacchianella sia Maschera locale. In realtà la Pacchianella, nota con questo nome anche fuori dei confini pugliesi, è figura amorfa. Con tale nome non si segnala infatti un personaggio, bensì l’abito di ripiego con cui i più poveri un tempo partecipavano alle sfilate carnevalesche accanto a chi poteva permettersi gli sgargianti e costosi costumi di Pulcinella, Brighella e Colombina. Ci si agghindava con ciò che si rimediava nel guardaroba, cercando negli abbinamenti meno ragionevoli un effetto kitsch che attirasse l’attenzione ; insomma, una cosa ‘pacchiana’. Parimenti non sono Maschere la Farinella di Putignano, lu Carlucce di San Giovanni Rotondo, Markoff di Bari… Allora, la Puglia proprio non merita una maschera? Ebbene sì, invece. Ed è quel Don Pancrazio Cucuzziello o Il Biscegliese di cui tanti hanno perso memoria. Una Maschera che a Napoli, al San Carlino, furoreggiò facendo da antagonista a Pulcinella nei panni dell’emigrato arricchito, vecchio e avaro, concupiscente e puntualmente gabbato. Una Maschera presente in sette farse di Filippo Cammarano, due di Francesco De Petris, cinque di Orazio Schiano, una di Giulio Genoino, una di Michele Cappelli, quattro di Pasquale Altavilla e due di Giacomo Marulli. Ce n’è abbastanza per gonfiare il petto.

Italo Interesse


Pubblicato il 9 Febbraio 2013

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