TSS3, il relitto, la miniera
Il nostro Adriatico continua a restituire testimonianze di storia sommersa. E’ di qualche giorno fa il ritrovamento nel leccese degli avanzi di un molo tra San Cataldo e Le Cesine, a pochi metri di profondità e a brevissima distanza dalla costa. Se, come sembra, i resti di quell’infrastruttura risalgono al periodo compreso la fine dell’età repubblicana e la prima età imperiale, potremmo essere di fronte allo scalo portuale dell’antica Lupiae … Intanto, settanta chilometri più a nord, gli archeologi sono tornati a lavoro sui fondali di Baia Camerini, a Torre Santa Sabina (marina di Carovigno). L’opera paziente e appassionata dei subacquei sta riportando alla luce altre testimonianze della vivacità di quello scalo in epoca romana. E’ dai primi anni sessanta che questo sito archeologico si rivela una miniera di informazioni circa i traffici commerciali fra Puglia ed Ellade (forse anche l’Anatolia). Migliaia e migliaia di tonnellate di derrate alimentari, di stoffe, manufatti e marmi pregiati dovettero passare per i tanti approdi del tratto di costa che da Savelletri arriva a Brindisi. Un braccio di mare, però anche funesto alla navigazione: resta incalcolabile il numero delle navi onerarie naufragate per effetto delle trombe marine frequentissime in quel tratto d’Adriatico in conseguenza dei venti balcanici che vi soffiano senza trovare ostacolo nel livellato e basso territorio di casa nostra. La furia degli elementi qualche volta dovette rivelarsi letale anche per bastimenti all’ormeggio, teoricamente al sicuro nell’abbraccio portuale. E’ il caso del relitto classificato come TSS3 (Torre Santa Sabina 3). Questo mercantile del VI-V secolo avanti Cristo giace sotto quattro metri d’acqua nel punto più profondo della Baia dei Camerini. Scoperto nei primi anni sessanta, il relitto è stato oggetto di periodiche spoliazioni per decenni prima che – e ciò è avvenuto solo di recente – venissero stanziati fondi per metterlo in sicurezza facendo uso di speciali coperture subacquee. L’accortezza consente ad ogni campagna di scavo, come appunto quella in corso, di cavare dalla sabbia che ricopre i resti della nave quanto resta di un carico imponente composto da anfore da vino e da olio, crateri, brocche, coppe, tazze… Ma quale dolore vedere quel fondale cosparso di cocci ai bordi del perimetro dell’area di scavo. Solo in parte minima quei cocci sono figli della mareggiata che duemila anni fa colò a picco la TSS3. Quei cocci sono quanto resta di reperti andati in frantumi tra le mani di gente senza scrupoli e a digiuno dei fondamentali dell’arte dello scavo (mai estrarre con uno strappo dalla sabbia un manufatto che abbia un manico : esso resterà nelle mani del predone).
Italo Interesse
Pubblicato il 26 Maggio 2022