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Tutti vogliono la testa dell’assessore all’Agricoltura, ma è tutta colpa di Nardoni?

Proprio nel bel mezzo dell’ultima tempesta che, appena la settimana scorsa, ha colpito la Regione Puglia c’è lui, l’assessore all’Agricoltura tarantino Fabrizio Nardoni. Il quale, secondo la pesantissima mozione sottoscritta da una dozzina di consiglieri di Forza Italia e oppositori vari, avrebbe già dovuto rassegnare le dimissioni direttamente nelle mani di quel Vendola che l’ha nominato, un anno e mezzo fa circa. Motivo? La gestione fallimentare dell’assessorato alle politiche agroalimentari, senza contare un numero imprecisato –ma a quanto sembra assai cospicuo – di giornalisti e collaboratori vari, tutti a tempo determinato, di cui si sa poco e niente circa termini ed emolumenti a spese dell’Erario Pubblico. Dunque, gestione ‘oscura’, come direbbe Vendola o, più semplicemente, carente di trasparenza, tant’è vero che molti consiglieri di minoranza di queste nomine fiduciarie non avrebbe trovato traccia alcuna sui siti istituzionali, come invece prescrivono le norme più recenti in materia, appunto, di trasparenza sugli atti adottati dalle amministrazioni pubbliche. Ma non è finita: nel ‘cajueur de doleance’ sull’operato di Nardoni ci sarebbe anche un bel malloppo di milioni di euri (una ottantina e più)  che, se nulla muta nei prossimi due mesi e cioè fino alla fine di quest’anno, potrebbero tornare al mittente, dritti dritti a Strasburgo. Infine, giusto per non farsi mancare niente, nelle palate di fango gettate in faccia al povero Nardoni ci sarebbero le storielle di contorno, quelle che i bene informati hanno servito per dare più sapore al piatto per avere la testa dell’ex presidente del Taranto Calcio. E cioè la vicenda dell’impresa personale che avrebbe beneficiato di un appalto regionale e della moglie-chef che lavorava sulla tv locale tarantina per occuparsi di piatti tipici e prodotti locali. Tutte accuse, almeno queste ultime, che Nardoni ha immediatamente respinto e prontamente, senza nemmeno sforzarsi troppo, visto che solo i più distratti hanno scordato che lui – il giorno prima di mettere piede in assessorato, a Bari –  aveva già ceduto le quote della sua impresa, mentre la moglie ci lavorava gratis e da tempo, dietro ai fornelli televisivi della televisione locale tarantina. Ma tant’è, il suo nome continua a ballare sulla graticola, come se anche la levata di scudi a favore suo e del suo operato da parte delle associazioni di categoria, fosse solo aria fritta o fumo senza arrosto, tanto per restare in tema culinario. Allora, chi è che vuole a tutti i costi e su un piatto d’argento la testa dell’ex imprenditore jonico, alla guida degli uffici agricoli pugliesi sul lungomare di Bari da una quindicina di mesi? In realtà, se proprio si vuole andare al di là di attacchi e mozioni che appaiono perlomeno tardive, se non superficiali, bisognerebbe subito dire che tutto l’organigramma di collaboratori, segretarie, impiegati, funzionari e soprattutto dirigenti regionali sui quali ha contato Nardoni nel corso del suo assessorato sono gli stessi –pari pari- sui quali ha contato chi l’ha preceduto. Vale a dire quel Dario Stefano, attuale candidato alle primarie nel Partito Democratico per scegliere il prossimo capo della giunta pugliese, quota Sinistra Ecologia e Libertà (Sel), nonché novello ‘saint juste’ per aver decapitato il Senatore Berlusconi Silvio, a suo tempo. Quindi, tutte le decisioni, determinazioni e delibere fondanti dell’assessorato pugliese all’Agricoltura sono il frutto di decisioni maturate e adottate da chi muoveva le leve già prima di lui, quando nel 2013 è planato in giunta. Insomma, a guidare la giostra agroalimentare pre-Nardoni c’era alla Regione (e c’è) il direttore d’area dottor Gabriele Papapagliardini, titolare tra le altre cose di quell’istruttoria e gestione fondi Fesr finiti nel mirino degli oppositori di centrodestra perché spesi poco e male, secondo le accuse più pesanti, da scomodare perfino responsabilità amministrative e contabili. Fondi a rischio, però, non certamente da oggi ed anche se è normale che a pagare dazio in politica e burocrazia sia chi si ritrova nella bufera per ultimo, per il direttore d’area Papapagliardini pare invece essere già bella e pronta la poltrona di Capo del Gabinetto presidenziale, al posto di Davide Pellegrino, a sua volta in predicato di trasferirsi armi e bagagli al Comune di Bari, in qualità di direttore generale. Magari sperando di tenerlo a debita distanza dagli sviluppi del caso Ilva, a Taranto, dove si ritrova in un elenco pieno zeppo di pezzi da novanta, alla Regione. Insomma, il solito valzer di poltrone, carriere e promozioni per cui, nelle stanze dei bottoni dell’amministrazione pubblica, entra ed esce non sempre chi è più bravo, abile e preparato…

 

Francesco De Martino       


Pubblicato il 28 Ottobre 2014

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