Cultura e Spettacoli

Un mulo da guerra

E’ noto a tutti che l’asino di Martina Franca rappresenta la più grande razza asinina d’Italia. Originaria dell’area compresa tra Martina, Alberobello, Locorotondo, Ceglie, Noci, Mottola e Massafra, essa si è estesa ben oltre la Puglia dando vita a tre sottorazze : l’asino delle Marche, della Basilicata e della Calabria. Meno noto è invece il suo parente minore : il mulo martinese, frutto dell’incrocio tra lo stallone martinese e la giumenta murgese. Oggi di muli martinesi se se ne ‘producono’ pochissimi, a differenza che in passato. Nel periodo delle guerre la richiesta di muli martinesi da parte del Regio Esercito fu altissima. Ancora negli anni quaranta, stante pure la limitata disponibilità di mezzi motorizzati, il nostro esercito faceva grande uso di servizi ippotrainati, specie nelle zone più impervie. Quanti poveri muli stracarichi di cassette di munizioni fecero silenziosamente il loro dovere sulle Alpi (durante la Grande Guerra) e in Albania, in Grecia, in Croazia e Russia nel corso dell’ultimo conflitto. Ma perché proprio il mulo e non l’asino o il cavallo? La ragione sta nella costituzione singolarmente robusta di questa creatura, nella sua resistenza alle malattie, nell’adattabilità agli ambienti sfavorevoli e alla sua sobrietà alimentare, conseguenze del vantaggio di quella regola genetica chiamata vigore dell’ibrido o eterosi. In particolare, il mulo, data la conformazione delle scapole, può trasportare grandi pesi direttamente sulla groppa. Questa caratteristica ne ha fatto da sempre l’ideale animale da soma. I muli inoltre sono considerati più intelligenti e riflessivi dei cavalli e degli asini. Nel Regio Esercito i muli venivano suddivisi in classi. Quelli di prima classe, i più grandi e robusti, venivano utilizzati dai reparti di artiglieria per il trasporto di armi e munizioni, in particolare per il trasporto del mortaio da 120, composto di tre pezzi: piastra, affusto e bocca da fuoco (diversamente il trasporto manuale di quest’arma avrebbe richiesto l’impiego di almeno tre uomini). Inutile dire che il mulo di Martina rientrava in questa categoria. I muli di seconda e terza classe, invece, più piccoli e meno resistenti, venivano usati dalla fanteria alpina per il trasporto di tende, munizioni e approvvigionamenti. In casi estremi queste bestie generosissime diventavano anche una fonte di cibo. Chissà quanti muli di Martina vennero macellati durante la ritirata di Caporetto (di cui quest’anno ricorre il centenario) e quella ancor più rovinosa alla quale venticinque anni dopo e nel gelo della steppa russa dovette piegarsi l’Armir. Un sacrificio supplementare passato sotto silenzio insieme a tanti altri orrori di guerra che per non aver fatto notizia sono stati ingiustamente classificati ‘minori’.

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 11 Aprile 2017

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